Due grandi amici, Andre Rizzoli e Gianluca Marchiori, hanno cercato (e trovato) fortuna in Svezia, alla Good to Great Tennis Academy di Stoccolma dove si allenano anche Stan Wawrinka e Aryna Sabalenka. Pur non avendo trascorsi da giocatori professionisti, si sono subito affermati, scoprendo un paese molto diverso rispetto all’ItaliaFratelli d’Italia, in Svezia, in una delle migliori accademie del mondo. È la storia di Andre Rizzoli e Gianluca Marchiori, il primo, classe 1989 da Castel Goffredo (Mantova), il secondo, classe 1991 da Brescia, migliori amici da sempre e accumunati dallo stesso affascinante percorso professionale. Hanno trovato fortuna a Stoccolma e non esattamente in un circoletto qualsiasi, bensì alla Good to Great Tennis Academy, dove alla voce colleghi rispondono, tra gli altri, Magnus Norman, Mikael Tillström, Joakim Nyström, Nicklas Kulti. L’obiettivo del progetto è ben riassunto dal nome: prendere il good (buono) e trasformarlo in great (ottimo), come a Norman è riuscito alla perfezione con Stan Wawrinka, trascinato a conquistare tre titoli Slam (Australian Open, Roland Garros e US Open) in un’epoca zeppa di fenomeni. Per continuare a farlo, alla GTG hanno scelto di affidarsi anche ai due expat italiani, trasformati da giovani insegnanti a coach internazionali, grazie a fiducia e responsabilità. Rizzoli è al timone del settore femminile dell’accademia, mentre Marchiori lavora spalla a spalla con Norman, provando a restituire qualche tennista di spessore a un movimento ormai costretto a vivere soprattutto di ricordi.
È stato Gianluca il primo ad arrivare nella terra dei vichinghi, dell’ordine e del buio, nell’estate del 2014, quando allenava una giovanissima Dayana Yastremska, oggi a ridosso delle prime cento giocatrici WTA e destinata a un futuro di spessore. L’aveva conosciuta durante un torneo internazionale under 12 nel circolo dove lavorava e grazie all’agente della stellina ucraina è arrivata una proposta allettante: scegliere – a suo piacimento – uno fra Patrick Mouratoglou, Thomas Högstedt e Magnus Norman, da cui recarsi per due settimane ogni tre mesi. Lui ha puntato il dito su Norman, si sono piaciuti in fretta e poco dopo è stato proprio Magnus a scegliere lui, proponendogli di lavorare a Stoccolma a tempo pieno e subito con enormi responsabilità. Tanto che gli hanno affidato immediatamente Elias Ymer, la più grande speranza svedese di rivedere almeno la top 100 a sei anni dall’addio di Robin Soderling. «Una situazione che ha sorpreso anche me – racconta – ma Magnus fa comunque sentire il suo supporto. È sempre disponibile ad ascoltare e dare qualche consiglio: con lui accanto è tutto più facile. Sto vivendo un percorso davvero importante, che mi ha fatto imparare tantissime cose. Da subito ho avuto la possibilità di viaggiare molto, facendo esperienza, osservando gli altri coach e imparando tanto». Dopo la parentesi con Ymer, Marchiori ha seguito per oltre un anno Daniel Brands (uno che ha battuto anche Roger Federer…) e poi ha lavorato con l’ex top 20 Varvara Lepchenko, mentre oggi è responsabile del Pro Team dell’accademia. «Tutto è nato da un caffè con Magnus: ci siamo confrontati su cosa potessimo fare per aiutare il tennis svedese, partendo dai giovani. Così abbiamo formato un gruppetto di sei, sette ragazzi che giocano a livello Futures e Challenger, con l’obiettivo di portarli nel tennis di vertice».
Rizzoli, che di nome fa Andre come Agassi («Per fortuna non sono nato femmina, altrimenti sarei Arantxa!»), a Stoccolma ci è arrivato nell’ottobre del 2015, assunto insieme a Joakim Nyström. Uno ex n.7 ATP, l’altro ex 2.4 delle classifiche italiane, ma con un’enorme voglia di fare. Un anno prima di iniziare a lavorare alla Good to Great era stato a Stoccolma in vacanza, a trovare l’amico. «L’ultima sera – racconta dall’Italia, dove torna due o tre volte all’anno – siamo usciti a cena con Norman e Tillström e Gianluca me li ha fatti conoscere. Prima di salutarci, Mikael mi ha chiesto di tenerci in contatto, dicendo che gli ero piaciuto e che qualora gli fosse servito un nuovo allenatore avremmo potuto parlarne». Sembrava il più classico dei le faremo sapere che, nel 99% dei casi, non portano a nulla. Invece si è trasformato in una grande opportunità. «Dopo nove mesi si è fatto vivo, proponendomi di lavorare con le ragazze. Ero pronto a firmare un contratto con la Canottieri Mantova e avevo preso un appartamento in affitto in città da sei giorni. Quando mi ha telefonato ero in macchina, impegnato nel trasloco. Ho accostato, chiamato mio padre e gli ho detto che avrei cambiato tutto, che sarei andato in Svezia. Fortuna che il presidente della Canottieri ha capito la situazione». Da allora, lavora a tempo pieno nel settore femminile. «Il programma – dice – va di semestre in semestre: da agosto il mio compito è quello di aiutare le migliori juniores nella transizione verso il professionismo». Anche per lui, da subito, la parola chiave è stata autonomia. Ma non perché dall’alto se ne fregassero, tutt’altro. Gli hanno dato carta bianca perché si fidavano ed evidentemente credono che per imparare bisogna fare. E all’occorrenza anche sbagliare. «All’inizio è stato un bel test. Mi aspettavo qualche consiglio su come muovermi, invece mi hanno lasciato fare, mettendomi alla prova. Mi chiedevo se sarei stato all’altezza di un gruppo di coach simile, ma dopo tre mesi c’è stato un punto della situazione con Tillström e Norman che si è rivelato molto positivo. Ne sono stato sorpreso e contento: diciamo che è una bella ricompensa per l’impegno che ci ho sempre messo dai 19 anni in poi, studiando per due, tre ore ogni giorno. Lo faccio ancora oggi e avere due figure del genere così vicini è un’opportunità incredibile. Mi piace pensare che questo lavoro sia un percorso di crescita, personale e professionale. Sento che ogni giorno il mio bagaglio di competenze si arricchisce».
Quello che sorprende di tutta questa storia è che né Marchiori né Rizzoli hanno mai avuto classifica ATP e al loro arrivo in Svezia avevano pure poca esperienza come allenatori. Eppure l’opportunità è arrivata, doppiamente preziosa perché giunta da un paese in cui l’italiano non è esattamente visto come la persona più organizzata e professionale del mondo. «Qui – dice Gianluca da Bastad, dove è impegnato con i suoi ragazzi – che tu sia stato top 100 o non abbia mai conquistato un punto ATP non conta nulla. Guardano le tue capacità, come lavori e con quanto impegno». In sintesi, la possibilità c’è, basta dimostrare di meritarsela. «È una delle grandi differenze che ho notato rispetto all’Italia – dice Rizzoli – perché qui contano le competenze, non le qualifiche. Ho trovato una mentalità più aperta: i responsabili ci coinvolgono nel discorso, si confrontano con noi e si affidano molto alla professionalità di chi hanno di fronte. A livello di comunicazione siamo tutti sullo stesso piano. Ricordo la prima volta che non mi sono trovato d’accordo con un’idea di Norman e Tillstrom. Non è stato facile dire che la pensavo diversamente, ma loro hanno ascoltato la mia opinione, ci hanno riflettuto e ne abbiamo parlato. C’è un confronto continuo fra tutti noi, che porta a un arricchimento generale». Sono a tutti gli effetti come una squadra che lavora in sinergia, tanto che a Marchiori è capitato addirittura di sentirsi chiedere da Norman qualche indicazione su come lavorare sulle volèe di Wawrinka. «Lui l’ha chiesto a me! Mi è venuto da ridere, non mi sembrava vero». Dettaglio: erano all’Australian Open, nel 2015, e lo svizzero era campione in carica.
La Good to Great Tennis Academy non è solo al top mondiale per quanto riguarda lo staff, ma anche per la struttura, grazie alla meravigliosa Catella Arena, inaugurata con tanto di red carpet lo scorso aprile. Non è un centro sportivo, non è un club dove è possibile associarsi, è una ac-ca-de-mia, quella che il dizionario definisce istituto d’insegnamento, in genere di carattere superiore. Si provano a costruire giocatori di tennis, punto e stop. «Prima – dice Rizzoli – c’erano le persone ma non la struttura e la Good to Great noleggiava i campi. Poi è nato questo progetto che da qualche mese ha portato alla nascita di un centro rivoluzionario, all’avanguardia in tutto e per tutto». Sbirciando le foto viene da dargli ragione: sembra un paradiso. «Addirittura – continua – ci siamo chiesti se non fosse perfino eccessivo. Penso a un ragazzino che viene ad allenarsi in un posto così: magari pensa di essere anche troppo forte. Se invece trova un campo rovinato e le palle usurate, si rende conto di quanto lavoro debba ancora fare per arrivare in alto». A Stoccolma si augurano che lo sviluppo di un progetto simile possa servire a ridare linfa al tennis svedese, che dopo aver abbracciato fenomeni come Borg, Edberg, Wilander e tanti altri, oggi ha i soli fratelli Ymer nei primi 300 del ranking ATP. Fra le donne, invece, ci sono Johanna Larsson e Rebecca Peterson nelle prime 100, ma poi c’è un burrone fino a Cornelia Lister, oltre il numero 500. «Specialmente nelle città più piccole – conferma Marchiori – si sente il desiderio di ritrovare dei campioni. In accademia abbiamo discusso spesso della situazione. Probabilmente il movimento svedese si è un po’ seduto su quei risultati, ma nel frattempo il tennis è cambiato. Hanno smarrito qualche anno e qualche talento, ma ora stanno provando a recuperare». Lo conferma Rizzoli, entrando nei dettagli di un progetto interessante. «Non esiste un sistema Svezia – racconta –, ma qualcosa si sta muovendo. La Federazione ha avviato un mentoring program con otto coach dal curriculum importante, che fanno da mentori ad altrettanti allenatori svedesi. Si incontrano varie volte nel corso dell’anno e provano a trasmettere il loro metodo».
Ma qual è la differenza fra insegnare tennis in Italia e in Svezia? «Almeno per come siamo strutturati noi – dice Marchiori – qui ognuno ha le proprie responsabilità, così non si crea confusione. Si cerca di lasciare a giocatori e allenatori il tempo giusto per lavorare, senza dargli centinaia di input diversi». Gli fa eco il collega: «Secondo me in Italia siamo troppo focalizzati sul risultato, ma ho imparato che non è sempre l’ultimo fine, anzi. Ci sono aspetti più importanti, che alla lunga portano comunque a raggiungere obiettivi importanti. La mia idea è che dobbiamo migliorarci ogni giorno, quindi valutare ciò che facciamo a seconda di un risultato, per quanto positivo possa essere, mi sembra riduttivo. In più non bisogna mai accontentarsi: né il giocatore né il coach. Io sono molto contento di quanto fatto sin qui, ma il giorno in cui penserò di essere arrivato sarà quello in cui sarò diventato un pessimo allenatore». Per non parlare della questione fiscale, che in Italia è uno dei grandi punti interrogativi che accompagnano la vita di tutti (o quasi) gli insegnanti di tennis. «Ora ho un contratto a tempo indeterminato – dice Andre – e mi sembra una magia. La realtà italiana la conosco, l’ho vissuta sulla mia pelle: contratti da collaboratori sportivi per non sforare la no tax area, qualche Open per arrotondare lo stipendio e tanta attenzione a non farsi male, altrimenti zero guadagni. La Svezia è un altro mondo: sono come un dipendente di un’azienda, con tasse pagate, contributi versati, malattia, assicurazione e via dicendo. Sono un lavoratore tutelato». In più, gli stipendi sono ottimi, anche se il costo della vita è fra i più alti d’Europa. «Per questo i primi due anni – chiude Rizzoli – ho guadagnato meno in Svezia rispetto a quanto prendessi in Italia, ma quando mi hanno offerto questo posto non ho guardato molto all’aspetto economico. L’ho vista come un’opportunità irrinunciabile per migliorarmi, come persona e come allenatore». Tradotto: certe occasioni vanno prese, senza badare troppo ai dettagli. Lui e il suo amico l’hanno fatto, salendo su uno di quei treni che passano poche volte nella vita.
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