Cosa è cambiato, a distanza di un anno, dalla riforma che ha fatto tanto discutere? Le impressioni di Andrea Vavassori e Francesco Vilardo, passando per la storia singolare di Jules Marie

Il caso di Jules Marie

È passato ormai un anno dalla tanto discussa riforma che ha dato vita all’Itf Transition Tour, una sorta di riordino delle graduatorie Atp e Wta mediante la creazione di un circuito minore al fine di ridurre in maniera drastica il numero dei professionisti. Gli obiettivi decantati miravano infatti soprattutto allo snellimento dei Ranking mondiali, obbligando molti tra i giocatori di seconda fascia a mettere da parte i propri sogni, riporli in un cassetto e buttarne la chiave.
Sembrava questo il caso di Jules Marie, uno dei tanti agonisti coinvolti, ancor prima della riforma poi fortunatamente abolita, dal vortice di intemperie che possono avvolgere un professionista non di primissima fascia. Fa specie anche solo pronunciarla questa parola, “professionista”, in quanto il significato al netto delle eccezioni è spesso snaturato nel mondo del tennis. Il francese, classe 1991, 5 anni fa aveva scelto di appendere la racchetta al chiodo a causa delle ingenti spese che era costretto ad affrontare. Storia comune, quella di viaggi negli angoli più remoti del mondo, spesso affrontati da soli perché un coach costa troppo, negli alberghi più economici per risparmiare qualche centesimo in più . Il tutto in cerca di un sogno, di qualche punticino Atp che possa far rifiatare una vita in costante apprensione nonostante il livello raggiunto. Con un best ranking al numero 228 conseguito nel 2015, il transalpino ha poi deciso di riprendere e dedicarsi nuovamente alla sua più grande passione: nonostante il lungo periodo di inattività e la ripartenza dai bassi fondi della classifica mondiale, il 28enne attualmente impegnato al Challenger di Cherbourg ha eliminato in qualificazioni il nostro Gian Marco Moroni, dimostrando che a mancare alla categoria di giocatori “di seconda fascia” non è certo il livello. Spesso è questione di fortuna, di occasioni colte al balzo, di situazioni che ti consentano di esprimere in maniera serena tutto il tuo potenziale. D’altronde ad un giocatore che, seppur in un torneo di esibizione come l’Open di Caen, riesce a superare atleti del calibro di Benoit Paire e Pablo Andujar non si può certo contestare qualcosa a livello tennistico.
Per affrontare un tema quantomai spinoso e ricco di storie sorprendenti, in esclusiva per “Il Tennis Italiano” abbiamo raggiunto telefonicamente due giocatori azzurri che hanno delineato tratti ai più sconosciuti dei circuiti cadetti, confrontando il pre e post riforma senza alcuna abbottonatura: Andrea Vavassori e Francesco Vilardo.

Vavassori: “Riforma da pazzi, difficile studiarla peggio”

L’errore che hanno fatto l’anno scorso è stato di non prendere in considerazione solo la redistribuzione dei punteggi. Prima una vittoria Itf dava 18 punti, più di un quarto di finale a livello Challenger: per loro era necessario un cambiamento, ma hanno fatto una riforma che definire da pazzi è un eufemismo. Onestamente era difficile studiarla peggio”.

Ha esordito così, senza tanti peli sulla lingua Andrea Vavassori, tennista classe 1995 che sta ben figurando nelle ultime apparizioni. Salito al 278esimo gradino della classifica mondiale, la carriera del giocatore torinese ha vissuto molti alti e bassi, complice il riassestamento voluto dagli organi Atp e Itf: “La doppia classifica è stata una mazzata per tanti giocatori, me compreso che sono stato costretto a tralasciare il singolare per concentrarmi sul doppio: per avere la possibilità di giocare Challenger era necessario entrare tra i primi 20 nel ranking Itf, sono stato obbligato da una riforma che ha tagliato le gambe a tanti atleti. Poi ho avuto la fortuna di entrare in qualche quali e fare buoni risultati, così sono riuscito ad incamerare punti per giocare anche il singolo”.

Una situazione difficilissima, che ha messo a repentaglio le carriere di troppi giocatori. Con tanta tenacia ed un pizzico di fortuna Andrea è riuscito a superare il periodo più difficile, rimanendo sempre consapevole che il percorso per far valere i propri diritti è appena cominciato: “Hanno fatto un dietrofront dopo metà anno, sono contento perché siamo riusciti a limitare i danni: ora mi sembrano più attenti alle richieste dei giocatori, ad esempio aver aumentato il numero dei partecipanti nei Challenger lo trovo molto positivo in quanto dai la possibilità a 48 giocatori di giocare tutte le settimane. Dovrebbero sicuramente aumentare i posti in qualificazioni, 4 slot sono veramente troppo pochi, bisognerebbe rialzarlo a 16. Ciò che deve essere riformato è sicuramente la ripartizione del prize money: ogni anno viene toccato il record per quanto riguarda gli Atp, il divario che c’è con il circuito cadetto è assurdo, soprattutto perché spesso si incontrano anche gli stessi giocatori. Un qualcosa di positivo è stato fatto anche con i Challenger50, che consentiranno a giocatori di fascia più bassa di competere a quel livello, anche se onestamente non so quanti saranno. Di certo la situazione è migliorata, ma la strada è ancora lunga”.


Vilardo: “Condizioni inammissibili nei tornei Futures”

Che la riforma non potesse avere vita lunga lo sapevamo ancor prima che entrasse in rigore. Ha creato solamente tanti disagi. Grazie anche a noi giocatori, uniti in un movimento internazionale, siamo riusciti ad abolirla mettendo pressione e cercando di far capire a chi di dovere le nostre ragioni. Abbiamo coinvolto personaggi di spicco del mondo del tennis, io stesso ho avuto contatti con Toni Nadal che ha mostrato vicinanza alla nostra causa”.

Un esponente in prima linea del movimento contro la riforma è stato ed è tuttora Francesco Vilardo. Classe 1989, il tennista di Fuscaldo in carriera ha prevalentemente calcato i tornei Itf, maturando negli anni un’idea anni luce distante dai cardini della riforma attuata: “Io ho una chiave di lettura molto chiara della vicenda: Itf e Atp sono in contrasto, in questi ultimi anni gli attriti sono stati maggiori e quelli che ne hanno pagato le conseguenze sono stati i giocatori di fascia inferiore, quelli non tutelati dagli organi Atp. Credo che un giocatore che arrivi tra i primi 500 sia un’agonista di tutto rispetto, e questo dovrebbe consentirgli di vivere dignitosamente con la professione che svolge, in questo caso il tennista. Io ad esempio con un best ranking alla 455esima posizione, ogni anno faccio fatica a chiudere l’anno, nonostante tenti di risparmiare e faccia ben 3 campionati a squadre in Italia, Svizzera e Germania. Per fare un parallelismo, nel golf il numero 1000 al mondo guadagna bei soldi: il dislivello per quanto riguarda il prize money è a dir poco allucinante, bisogna necessariamente invertire il trend”.

Una riorganizzazione necessaria non solo a livello remunerativo: soprattutto per quanto riguarda i tornei Futures, Vilardo descrive situazioni complicatissime a livello strutturale, che appaiono difficilmente sanabili se non con una forte inversione di tendenza: “Dal punto di vista organizzativo c’è una netta distinzione da fare tra il mondo Challenger e quello Itf. Nel primo si hanno benefit e comodità che nei 15.000 Futures sono inesistenti: le palle per allenarsi sono disastrate, i fisioterapisti sono spesso improvvisati tanto da farti venire il dubbio se svolgano realmente quella professione. La cosa che reputo più assurda è però la mancanza di un dottore, di un medico che possa prestare aiuto ad un giocatore che si sente male: il primo soccorso è inesistente, questo è inammissibile per un evento internazionale che ospita professionisti da ogni angolo del mondo. Bisogna inveritre al più presto questa rotta, prima che possa succedere qualcosa di grave”.