Il portoghese è a un passo dal diventare il decimo giocatore a vincere un torneo dopo aver perso nelle qualificazioni. Da Gunthard a Cecchinato, Sousa sarebbe in buona compagnia

Sousa sulle orme di Marat: “Sono un po’ matto come lui”

Si può vincere un torneo di tennis perdendo una partita? La risposta è sì e ci sono addirittura due vie. La prima riguarda il round robin delle Atp Finals, la seconda – quella che spesso può dar vita alle favole più belle – si riferisce ai lucky loser. Dalla delusione per una sconfitta al turno decisivo delle qualificazioni al ripescaggio nel main draw per un forfait dell’ultima ora sino al titolo: seppur in una percentuale minima nella miriade di tornei disputati nell’arco della stagione, questa sequenza di avvenimenti è tutt’altro che impossibile e a Buenos Aires abbiamo avuto l’ennesima conferma. Pedro Sousa è a una sola vittoria dal primo torneo sul circuito maggiore dopo aver mancato la qualificazione contro Bagnis. Dopo il forfait del cileno Garin, reduce dal successo a Cordoba, il portoghese ha beneficiato dello slot spettante alla quinta testa di serie e ha sfruttato alla grande l’occasione materializzatasi. La wild card Diaz Acosta, poi il qualificato Kovalik e ai quarti l’ostico Monteiro prima di approfittare del walkover di Schwartzman, testa di serie numero 1 del tabellone, stremato e acciaccato dopo le quasi quattro ore di battaglia contro Cuevas. “In Portogallo erano le 3.00 o le 4.00 del mattino quando ho iniziato il mio match di quarti ma ho ricevuto comunque tantissimi messaggi: è stato bellissimo ricevere tutto questo supporto”, ha confessato il trentunenne attuale numero 145 al mondo e solamente il terzo portoghese a raggiungere una finale Atp. “Questo risultato significa molto per me, l’ultimo anno è stato difficile e ho avuto qualche problema a inizio del 2020 – ha proseguito Sousa, cresciuto nel mito di Safin Mi piaceva Marat perché era matto e anche io lo sono un po’. Ma amavo guardare anche Coria perché abbiamo uno stile di gioco simile, brevilineo, con un servizio non fantastico e scambi impostati da fondo”.

L’ultimo ostacolo per completare una settimana indimenticabile risponde a Casper Ruud, il norvegese figlio d’arte che partirà con i favori del pronostico e avrà la grande occasione per inaugurare il palmares. Eppure, la storia dei lucky loser insegna a non dar mai nulla per scontato e Pedro scalpita per diventare il decimo membro di questo esclusivo club.

I nove lucky loser titolati: da Gunthardt a Cecchinato

A inaugurare questa particolare lista fu lo svizzero Heinz Gunthardt, ex coach nella parte finale di carriera di Steffi Graf (e, successivamente, anche di Dokic e Capriati), sul cemento di Springfield nel 1978 per il primo dei cinque titoli sollevati in carriera. Nella stessa stagione ci riuscì anche il futuro top-10 Bill Scanlon: l’americano pescò il jolly nell’ultimo torneo della sua programmazione a Maui, sorprendendo tutti e mettendo in riga gente del calibro di McEnroe, Solomon e Fleming. Se nella classifica dei lucky loser lo statunitense arrivò per secondo, nel libro dei record ci entrò comunque come il primo a completare un golden set (vincere un parziale senza perdere alcun punto) contro Hocevar nel 1983.

Dopo Gunthardt e Scanlon, occorre avvolgere rapidamente il nastro per ventidue anni per ritrovare un lucky loser con un trofeo tra le mani. Nel 1990 toccò a Francisco Clavet sul rosso di Hilversum in Olanda: lo spagnolo, best ranking di numero 18 al mondo e con gli scalpi di passati e futuri numeri 1 al mondo in saccoccia (McEnroe, Wilander, Hewitt, Federer), si impose in finale in quattro set sull’argentino Masso. Un anno dopo, nel 1991, fu Christian Minussi a vincere il primo e unico titolo della sua onesta carriera sul cemento di San Paolo: l’albiceleste, mai entrato in top-50 di singolo, si è comunque regalato anche una medaglia di bronzo in doppio (in coppia con Javier Frana) alle Olimpiadi di Barcellona del 1992.

Un’altra pausa discretamente lunga, nuovo millennio ma prassi che si ripete: nel 2008 a Zagabria Sergiy Stakhovsky completò una settimana incredibile. Lucky loser e all’epoca numero 208 delle classifiche mondiali, entrò nel draw grazie al forfait di Llodra e superò le prime due teste di serie (Karlovic e Ljubicic, quest’ultimo in finale) oltre a Tipsarevic e l’azzurro Simone Bolelli in semifinale. Nel 2009 ebbe dell’incredibile invece la storia di Rajeev Ram sull’erba di Newport: dopo la pioggia che devastò il programma delle prime giornate del torneo, l’americano si ritrovò a giocare quattro partite il 10 luglio (due di singolo e due di doppio), tornando in campo il giorno e imporsi in entrambi i tornei. Un feeling speciale quello che lega l’erba l’evento di Rhode Island a Ram: lo statunitense, fantastico doppista, ha vinto sempre a Newport il suo secondo e ultimo titolo in carriera sei anni dopo.

Avvicinandoci ai nostri giorni, è l’estate del 2017 a regalare un paio di favole in poco tempo. Nel richiamo sul rosso post-Wimbledon, fu la caparbietà di Andrey Rublev a farsi largo dopo uno scivolone nelle qualificazioni di Umago, giustiziere del campione in carica Fognini ai quarti e di Lorenzi in finale. Ancor più rilevante, invece, l’impresa di Leonardo Mayer, l’unico lucky loser fin qui a vincere un torneo ‘500’. Ad Amburgo l’argentino completò la sua cavalcata da sogno contro il quasi omonimo Florian Mayer nell’atto conclusivo per il primo trionfo da papà dopo la nascita di Valentino nel febbraio dello stesso anno. L’ultimo ad entrare in questa lista è stato il nostro Marco Cecchinato. A Budapest, nel 2018, il siciliano diede il via a una stagione indimenticabile con due titoli in bacheca e una storica semifinale al Roland Garros con tanto di vittoria su Novak Djokovic. Pedro Sousa, insomma, potrebbe essere in buona compagnia.