Novak Djokovic, numero uno del mondo a 36 anni, e Carlos Alcaraz, il più forte degli inseguitori, non possono rappresentare la rivalità di cui il tennis si nutrirà per il prossimo lustro. Si cercano urgentemente altri attori!
Anche il tennis maschile sta diventando fluido? Nel senso delle gerarchie a geometria variabile, degli sprofondi sconcertanti di chi sembrava destinato a esiti migliori – Tsitsipas che combini? Kyrgios dove sei finito? -, delle incertezze a ripetizione dei giovani che sanno sprintare sulle distanze brevi ma faticano a trovare una velocità di crociera.
Il tennis per ora è un trofeo che si palleggiano il Vecchio e il Bambino, Djokovic e Alcaraz. La lunga volata estiva ci ha consegnato due numeri 1 ma nessun vero padrone, un Djokovic ancora capobranco nonostante i 36 anni, ma a volte vulnerabile, come si è visto a Wimbledon. E un Alcaraz che dopo i crampi mentali di Parigi a Cincinnati ha dovuto inchinarsi al magistero fisico, oltre che mentale, dell’anziano re. La loro è una rivalità asimmetrica, bella ma impossibile da sostenere a lungo termine. Prima o poi resterà solo Alcaraz e allora – se ne parla in diversi luoghi sul numero in edicola della rivista – capiremo se la sua è una fuga solitaria o il gruppo saprà avvicinarlo.
Al momento, dietro i due leader, c’è grande confusione. Ruud si vede e non si vede, Rune è una rivoluzione bionda con lo start & stop, che molto promette ma per ora poco mantiene; Rublev ha brillato a Monte Carlo, ma poi chi l’ha visto? E l’Aliassime spettacolare di fine 2022, quello che ha regalato la prima Coppa Davis al Canada, è uscito da mesi dal radar che conta. In questo panorama agitato e imprevedibile, e in attesa di capire che Nadal ci restituirà il 2024, la costante è Sinner, un passista di classe superiore che sta migliorando (vedi Toronto) anche come finisseur.
A intorbidare il tutto c’è la sensazione strisciante e fastidiosa che ormai mediaticamente e nei sogni dei più forti contino solo gli Slam, i quattro tornei pigliatutto, e che a volte persino i 1000, siano percepiti più come warm up che come valori a se stanti. Accade, in parte, anche per il tris rosso Monte Carlo-Madrid-Roma, che per tradizione e contenuti non può certo ridursi ad un aperitivo del Roland Garros. Per il tennis, ovviamente, non è un bene, come non sono un bene i tanti infortuni che frastagliano le stagioni – e Berrettini purtroppo ne sa più di tutti – sottraggono alla vista campioncini in progress e antichi eroi per lunghi periodi. E impediscono quei confronti diretti e ripetuti che sono le fondamenta e il cemento di rivalità solide, capaci di dare un ordine al caos e un punto di riferimento agli orfani dei Fab Four.
Mi sento quindi di appendere un avviso: cercansi certezze, urgentemente.