Ray Giubilo, il nostro fotografo ufficiale che da da trent’anni segue e ci racconta tutti i grandi appuntamenti del tennis mondiale, è il primo protagonista della nostra nuova rubrica. Dagli inizi con Matchball ai grandi traguardi di oggi, dagli scatti a Nadal e Venus Williams a quelli a Monfils e Berrettini, una galleria di episodi divertenti e riflessioni interessanti su una professione affascinante

Dopo la moda, il tennis

Ray Giubilo è il primo protagonista della rubrica ‘Cinque scatti con…’. Nato ad Adelaide e trasferitosi in Italia a sette anni, Ray segue regolarmente i grandi tornei del circuito da ventisei anni dopo aver inizialmente lavorato come fotografo nell’ambito della moda. Ai microfoni de Il Tennis Italiano, Giubilo ha risposto ad una serie di domande sulla sua lunga e soddisfacente carriera partendo proprio dagli inizi. La fotografia è sempre stata una mia passione, ma inizialmente era solo un hobby perché studiavo legge, prima in Italia e poi in Inghilterra – racconta Ray – Quando sono tornato in Australia c’è stato il boom della moda, nel 1983 hanno iniziato ad aprire le prime riviste di moda ed io ho iniziato a lavorare grazie ad una serie di contatti. Nel mentre però giocavo a tennis, un’altra mia grande passione che sul piano professionale si è concretizzata nel 1989. Un amico che scriveva per Matchball venne per gli Australian Open e mi procurò un accredito come fotografo”. Questo il racconto del primo approccio al tennis, sport che non avrebbe più abbandonato: “Fino al 1994 sono rimasto nell’ambito della moda e fotografavo il tennis come lavoro part-time nel periodo dei tornei australiani e della Coppa Davis – prosegue – Poi ho trovato un cliente che mi ha dato l’opportunità di girare tutto il tour e da lì non mi sono più fermato. Ora sono ventisei anni che seguo annualmente tutti i grossi tornei”.

La foto a McEnroe nel momento sbagliato

Dopo tanti anni nel circuito gli aneddoti si sono accumulati, ma tra quelli rimasti impressi nella memoria di Ray ce n’è uno risalente al suo secondo Australian Open da fotografo: Era il 1990, McEnroe e Pernfors si affrontavano nel quarto turno del torneo. John era sotto nel punteggio e si stava infuriando sempre più – introduce il contesto Ray – Gli altri fotografi sapevano che in quella situazione era meglio non fotografarlo, ma io essendo agli inizi non conoscevo le regole non scritte. Ad un certo punto McEnroe si appresta a servire, silenzio di tomba e all’improvviso si sente il rumore della mia macchina fotografica; a quel punto lui impazzisce ed inizia ad urlare, ma fortunatamente non ha capito fossi iocontinua Ray che aggiunge poi un altro dettaglio – Al cambio di campo un altro fotografo italiano che come me non aveva grande esperienza andò a fare uno scatto di McEnroe in panchina e lui gliene disse di tutti i colori. Vista la situazione mi spostai in alto nelle tribune e poco dopo la situazione degenerò, McEnroe andò fuori di testa, chiamò il supervisor e poco dopo fu cacciato dal campo perdendo così il match”.

«Nadal, Monfils e Sampras tra i miei preferiti»

A chi li ha fotografati tutti è d’obbligo chiedere quali siano i suoi giocatori preferiti, la cui risposta non è scontata e varia naturalmente secondo il gusto personale. “Nel circuito ci sono giocatori con gesti eleganti, penso a Federer o Wawrinka quando gioca il rovescio e le loro foto sono utili anche a chi vuole scoprire come replicare il gesto. Per quanto giocatori di questo tipo siano gradevoli, non mi regalano però grandi scatti come possono fare altri tennistispiega Ray – Uno dei miei preferiti è Nadal, lui ti dà sempre qualcosa di spettacolare; qualche anno fa in Australia ho catturato una delle sue classiche veroniche e quella foto è stata messa anche nel libro dei 100 anni della Nikon. Altri giocatori che mi diverto a ritrarre sono Monfils, sempre imprevedibile; in passato anche Sampras, specialmente per i suoi smash, sembrava un bradipo ma aveva lo scatto di una tigre – ricorda Ray che poi aggiunge un tennista azzurro alla sua lista – L’anno scorso ho individuato in Berrettini un altro giocatore da fotografare volentieri. Inizialmente non avevo capito quanto potesse arrivare lontano, ma è un ottimo tennista e mi dà grandi foto sia con i suoi gesti tecnici che con le sue esultanze”.

«Il nuovo centrale di Miami è terribile per fotografare»

“Per un fotografo il gradimento dei campi può variare di anno in anno. Per esempio l’anno scorso a Roma era molto bello fotografare nel Grandstand perché il tardo pomeriggio arrivava una bellissima luce e i giocatori si ritrovavano intrappolati nell’ombra degli alberi dei campi secondariracconta Ray quando si parlare dei vari campi nel circuito – Un altro campo che piace molto a me ed in generale ai fotografi è la Rod Laver Arena, specialmente dalle 17.20 alle 17.50 si possono fare grandi foto. Da qualche anno è diventato molto bello scattare anche all’Arthur Ashe Stadium, specialmente al mattino – aggiunge Ray prima di parlare del Miami Open e del nuovo centrale – Il nuovo centrale di Miami invece è terribile, costruito dentro uno stadio è orribile starci dentro, poi a livello di fotografia dal campo azzurro si ottiene una luce fredda che risulta davvero poco piacevole. Il primo giorno in realtà si potevano fare anche buone foto perché da un buco la luce riusciva ad arrivare sui giocatori, ma loro si sono lamentati perché venivano abbagliati e hanno messo un telone per impedire alla luce di penetrare”.

Lo scatto perfetto a Venus Williams

Il quinto ed ultimo scatto deve essere il più bello, per Ray scegliere tra trent’anni di foto non è facile, ma il primo collegamento mentale porta all’Australian Open 1998, più precisamente ad un rovescio iconico di Venus Williams. “Quando ho scattato questa foto ero sul tetto della Rod Laver Arena, c’era una bella ombra e seguendo i movimenti della Williams ho scattato. Ho subito pensato di aver fatto una bella fotoconfessa il fotografo di Adelaide – Al tempo però scattavo ancora in analogico quindi avrei dovuto aspettare un giorno per vederla, avevo grandi aspettative ma c’era il rischio di un’esposizione sbagliata o che la messa a fuoco fosse errata. Alla fine però è uscita una super foto perché lei è messa di traverso su una gamba sola e solo guardando l’ombra si vedono entrambe. Sono molto affezionato a questa foto perché scattata in analogico ed in quel caso mi ha aiutato l’esperienza come fotografo di moda che mi ha insegnato a gestire la luce”.

Tornando indietro Giubilo ha poi approfondito i ricordi legati agli anni di transizione che hanno portato al digitale: Inizialmente solo le agenzie si potevano permettere le macchine fotografiche perché avevano dei prezzi fuori mercato ed avevano pochi pixel, anche se al tempo questo concetto non ci era molto chiaro. Alla fine però ci ho guadagnato perché chi scattava con le primissime digitali ora si trova con delle foto a pochi pixel mentre io dalle mie diapositive posso ricavare foto ad alta risoluzionespiega Ray trovando un notevole lato positivo – Poi nel 2000 durante l’Olimpiade ho provato la prima digitale e poco dopo ne ho comprata una. Il mondo per noi cambiò perché potevamo vedere subito la foto e potevamo avere un riscontro sull’esposizione. L’altro grande cambiamento fu sui numeri, prima avevamo un budget limitato per pellicole e sviluppo, durante uno slam al massimo avevo 100 pellicole equivalenti a 3600 scatti; oggi arrivo a farne anche 30.000 a torneo“.

Per chiudere Ray risponde ad un’ultima curiosità e spiega come facesse dal mondo a mandare le foto in Italia: “Solitamente non avevo bisogno di far arrivare le foto ‘in tempo reale’, quindi dopo le prime giornate, quando avevo le foto di tutti i tennisti consegnavo le diapositive a chi tornava in Italia che esso fosse un giornalista o un tennista eliminatoracconta rispolverando poi un altro metodo che ha utilizzato in qualche occasione – Nei rari casi in cui ho avuto necessità di mandare tempestivamente una foto in Italia, mi sono sempre dovuto rivolgere alle agenzie che erano in possesso di costosissimi trasmettitori Hasselblad. Questa macchina scannerizzava la foto che pagando una discreta somma sarebbe stata mandata in Italia tramite un giro lunghissimo. Per esempio quando scattavo in Australia la foto veniva mandata prima ad Hong Kong, poi a Los Angeles per il mercato americano e solo dopo arrivava a Londra e nel giro di poco in Italia. Con questo processo la foto arrivava in un paio d’ore“.