Spesso la festività ha coinciso con le finali di Miami e Montecarlo: ripercorriamo le ultime dieci stagioni del circuito maschile, da Fognini a Roddick passando per Djokovic e Wawrinka
L’ultima storica Pasqua con Fognini
ll tennis, coronavirus a parte, non riposa nemmeno a Pasqua. Anzi, spesso e volentieri quella domenica del calendario ha coinciso con finali importanti del Tour e negli occhi dei tifosi italiani è infatti ancora impresso il trionfo di Fabio Fognini a Montecarlo, tra una portata e l’altra del tradizionale e lauto pranzo pasquale. Una cavalcata storica, a pochi punti dal terminare all’esordio contro Rublev, sotto di un set e 4-1 nel secondo, e invece proseguita mettendo in riga Zverev, Coric e soprattutto Rafael Nadal, uno che a Monaco può essere considerato padrone di casa quasi al pari del Principe Alberto. Nemmeno un infortunio rimediato in finale ha impedito all’azzurro di completare l’opera contro Lajovic, di entrare nella storia con il primo tricolore piazzato sul rosso di Montecarlo nell’Era Open e di dare il via a quel progetto top-10 finalmente realizzato nel corso del 2019.
Una storia che può trovare alcune analogie con quella di John Isner, a segno a Pasqua del 2018 sul cemento di Miami per il suo primo e unico titolo in carriera in un Masters 1000 a fronte di quattro finali perse. Un fulmine a ciel sereno nel primo scorcio di stagione di Long John, arrivato in Florida dopo cinque eliminazioni su sei al primo turno nei tornei precedenti prima di avere la meglio su avversari di calibro come Cilic, Chung, Del Potro e in finale un nervosissimo Zverev, alla prima sconfitta in finale di un 1000 dopo i successi di Montreal e Madrid.
Fu una Pasqua di tornei “intermedi” quella del 2017 ma non per questo avara di emozioni. A Houston Steve Johnson ebbe la meglio al tie-break del terzo su Thomaz Bellucci. Eroico l’americano nonostante crampi violentissimi nel finale di terzo set che gli impedirono di muoversi verso sinistra e di caricare al meglio il servizio. Nonostante ciò, aiutato dalla poca lucidità del brasiliano – che non ha mai fatto dell’acume tattico il proprio punto di forza – riuscì a spuntarla per 7 punti a 5. Andamento simile sul rosso di Marrakech per regalare a Borna Coric il primo titolo della sua giovane carriera. In Marocco, il croato annullò ben cinque match point a uno sciagurato Kohlschreiber ribaltando lo score con un 7-5 al terzo maturato dopo due ore e quaranta minuti di battaglia.
Miami nel segno di Djokovic, Wawrinka nega a Federer il titolo a Montecarlo
Tutt’altro che indimenticabile, invece, la finale di Miami del 2016 grazie alla quale Djokovic completò il Double Sunshine per il terzo anno consecutivo. Al serbo bastò un’oretta e mezza per piegare la flebile resistenza di Nishikori con un netto 6-3 6-3 e infilare il sesto successo in Florida, eguagliando così il record di André Agassi. Faticò quasi tre ore nell’edizione precedente nella finale pasquale contro Andy Murray. Sotto il sole della rovente Miami il britannico si sciolse al terzo, incassando un pesantissimo 6-0 dopo aver fatto partita pari per due set. Nella frazione decisiva fu infatti un monologo targato Nole dopo il break in apertura che fiaccò improvvisamente la resistenza dell’avversario, uscito completamente dal match e con la testa già sotto una refrigerante doccia.
Dal cemento si ritorna al rosso di Montecarlo per l’atto conclusivo del Principato del 2014. Un derby elvetico da leccarsi i baffi con Stan Wawrinka opposto a Roger Federer, a caccia del suo primo titolo nel torneo monegasco. “Svizzera 2” era già diventato grande con il titolo agli Australian Open ma fino a quel momento non aveva mai abbellito la propria bacheca con il titolo di un 1000. Il primo set arrembante di Federer rispetta le gerarchie ma nel secondo Stan vende cara la pelle: break e controbreak, un’interruzione per pioggia di qualche minuto e un tie-break deciso solamente da un mini-break, maturato dall’errore di rovescio di un Roger meno brillante. Nel terzo, infatti, Federer verticalizza meno e si lascia investire dalla maggior potenza da fondo del connazionale che azzanna la preda in apertura della frazione decisiva e si invola verso il trionfo, impedendo al Re di spezzare uno dei pochi tabù della sua leggendaria carriera
La beffa di Ferrer e l’ultimo regalo di Roddick
Se la ricorderà bene la Pasqua del 2013 anche David Ferrer, protagonista suo malgrado di una beffarda sconfitta in finale a Miami. Lo spagnolo si ritrovò letteralmente a pochi centimetri dal successo nella finale contro Andy Murray ma strozzargli l’urlo in gola fu un falco spietato. La partita non è memorabile dal punto di vista tecnico, la terza frazione si apre con sei break consecutivi ma il tennista di Javea riesce a issarsi sul 6-5 e a guadagnarsi un match point in risposta. Nell’ennesimo braccio di ferro da fondo David decide di fermare il gioco e attende l’esito dell’Hawk-Eye in ginocchio, in preghiera. Vanamente. Il colpo di Murray pizzica la riga quanto basta per negargli il titolo e capovolgere inevitabilmente l’inerzia della partita, portando lo scozzese al titolo al termine di un tie-break senso unico.
Ferrer, curiosamente, scese in campo a Pasqua anche nelle due stagioni precedenti. Nel 2012 aiutò la sua Spagna a staccare il pass per le semifinali di Coppa Davis grazie ai suoi due successi in singolare contro l’Austria, mentre nel 2011 fu nuovamente sconfitto in una finale sul circuito. Questa volta a Barcellona contro il solito Rafael Nadal, che una settimana prima aveva fatto valere la legge del più forte anche nell’atto conclusivo di Montecarlo.
Concludiamo il nostro percorso pasquale del decennio con il canto del cigno di Andy Roddick nel 2010. L’ex numero 1 al mondo vinse il suo quinto e ultimo Masters 1000 della carriera sul cemento di Miami non lasciando scampo a Tomas Berdych, lasciandosi alle spalle la finale persa un paio di settimane prima a Indian Wells contro Ljubicic, l’attuale coach del suo incubo Federer. Almeno a Pasqua, l’uovo non gli riservò brutte sorprese.