L’ultima apparizione di Roger Federer a Roma, nel 2019, è da brividi. Due match vinti in un giorno, il secondo annullando due match point a Coric. Il ricordo di quella giornata da un tifoso doc come il nostro biblista Ludwig Monti
Roger e il rosso: vicende alterne, senza grande fortuna, vista la compresenza nella stessa epoca del cannibale Nadal.
Roger e il rosso di Roma: mai una gioia definitiva, diverse finali perse, tra cui quella contro Rafa del 2006, con scialo di due match point al quinto set (vizio antico!).
Roger e il rosso di Roma, giovedì 16 maggio 2019, un anno esatto fa: giornata memorabile. Torna agli Internazionali dopo tre anni e, causa pioggia, gioca e vince due partite in poche ore. Sceneggiatura divina per l’ultima epifania agonistica dell’Immenso sul suolo italiano, tra l’altro su due campi diversi, tanto per spandere bellezza ovunque. Bagliore accecante, fugace: “rara hora et parva mora”, direbbe san Bernardo in modo intraducibile. “Rarissimo e brevissimo”, balbettiamo, come ogni intensa bellezza.
In tarda mattinata mi trovo per lavoro a Bologna, dunque seguo solo a sprazzi e di nascosto gli aggiornamenti della facile vittoria contro il portoghese Sousa. Qui entra in gioco uno dei lati oscuri dell’atto di Federer: la, o meglio, le nevrosi del tifoso del Re. Vi risparmio le mie, non poche, ma ammetto almeno questo: sapere che l’Artista elvetico è in campo e non poterlo vedere è una tortura. Superiore di poco a quella di poterlo vedere, privandosi fin dal primo 15 della possibilità di goderne la bellezza, irretiti dalla malattia del tifo. Per dire, gli urli emessi ai due match point falliti nella scorsa finale di Wimbledon (poi non ne parlo più, promesso!) hanno spinto i miei vicini ad assicurarsi delle mie condizioni di salute psico-fisica…
Un anno fa, dunque, non potevo vederlo. A consolazione, mi ripetevo mentalmente l’inizio del salmo più complicato, eppur luminoso: “Sorga il divino, si disperdano i suoi nemici, gli avversari fuggano dal suo volto, svaniscano come fumo al vento”. Essere monaco servirà almeno ad avere le preghiere giuste al momento giusto, no? E infatti Sousa è liquidato senza neppur sudare.
Poi viaggio in treno, Wi-Fi ballerino, incontro con amica che mi costringe a parlare. Giungo di fronte a una Tv quando Roger è alla fine della battaglia contro il tignoso Coric. Un set pari, mi collego in prossimità del tie-break del terzo, dopo quasi due ore e mezza di gioco. In un amen, qualche Kyrie eleison e un paio di salmi imprecatori (da parte mia) Roger si trova sotto 4-6. Ma questa volta, udite udite, è lui ad annullare due match point. Il primo con una resistenza da fondo campo che somiglia più a una guerra di nervi. Il giovanotto croato cade nella trappola del gattone svizzero e sbaglia un dritto in avanzamento non impossibile. Tifo italiano impazzito sulla Grandstand Arena. Il secondo lo neutralizza con un servizio che induce l’altro all’errore. Mi aggiungo ai tifosi, con un grido belluino. Mentre salto, so già che vincerà: “Gioia in cielo, esulti la terra!”, sento emergere dalle viscere. E così, poco dopo le 20, un dritto vincente e una trappola su cui Coric cade a rete gli consegnano la vittoria. Voce rauca ormai, ora di cena.
Già pregusto l’indomani. In un luogo ameno, senza impegni, potrò guardare il quarto di finale in santa pace, si fa per dire, e ciò che seguirà. A tarda sera ecco il nome dell’avversario: l’astro nascente Tsitsipas. C’è una sconfitta pesante da vendicare…
E invece il tennis si rivela una volta di più lo sport del diavolo. Nel primo pomeriggio di venerdì Francesco mi telefona: Roger ha annunciato il ritiro per fastidi fisici. A quasi 38 anni non si possono giocare due partite in un giorno. “A ogni giorno basta la sua partita”, direbbe Gesù, quasi alla lettera. Lui diceva “la sua pena”, ma ogni nuovo dì non è forse una partita, una faticosa lotta? Una, appunto: a ogni giorno la sua. Affrontarne due è troppo, anche per chi, come il Re, sa ingannare il tempo…
Ricorderemo quel 16 maggio per uno scatto di Ray Giubilo, immagine oltremodo simbolica in questi tempi, resa celebre dalla nostra rivista: Roger sulla riga di fondo del Centrale di Roma, al cuore di un esile fascio di luce, circondato da ombre con le fattezze di un mostro. Il bianco dell’abbigliamento, il rosso della terra, il gigante oscuro che sembra voler divorare il campo, persino la pallina gialla. Anche il Magnifico, spettinato, è sorpreso, esita: colpirla o no di rovescio? Nell’incertezza ha piedi ben piantati a terra, mani sulla racchetta e occhi solo per lei, la pallina. “Soli, ma stretti un po’ di più, solo io, solo tu”, cantava qualcuno. Tra un attimo il Re agirà… Tranquilli, lui lo sa: al cuore del buio, c’è spazio e tempo (il timing!) solo per l’essenziale. Perché una scintilla inizi a squarciare la notte.