Mike e Bob hanno annunciato il ritiro dal tennis a 42 anni. Lasciano due dei tennisti più vincenti della storia, i gemelli americani che hanno provato a salvare il doppio in un epoca di grande decadenza della specialità

Nel tennis, la specialità del doppio viene spesso (anzi, quasi sempre) messa in secondo piano, sia dagli appassionati che dai giocatori stessi. Si tratta, volendo esagerare, di uno sport diverso rispetto al singolare, con regole differenti, ma soprattutto in cui c’è bisogno di caratteristiche differenti. In un torneo, gli incontri di doppio hanno meno risalto rispetto agli altri, e spesso ottengono la luce dei riflettori solo in occasioni particolari. In Italia, dopo l’epoca lontana di Pietrangeli-Sirola e di Panatta-Bertolucci, più recentemente ci ricordiamo la consolidata coppia Fognini-Bolelli, capaci di conquistarsi la scena grazie al successo negli Australian Open 2015, il primo slam azzurro vinto in una superficie diversa dalla terra rossa.

A livello globale, però, c’è una coppia che ha rivoluzionato il mondo del doppio nel nuovo secolo, in un’epoca dove la pratica viene quanto mai svalutata, e sono pochi i giocatori di livello che ci si tuffano per provare davvero a fare la differenza e non per un mero discorso di montepremi. Si tratta dei gemelli Bryan, Mike e Bob, che proprio ieri hanno ufficializzato il loro ritiro all’età di 42 anni, dopo una carriera che ha permesso loro di riempire la bacheca con qualunque trofeo o riconoscimento possibile. Sei Australian Open, due Roland Garros, tre Wimbledon e cinque US Open vinti in 30 finali, 119 tornei conquistati, a cui si aggiunge l’oro alle Olimpiadi di Londra 2012. In classifica, il duo statunitense ha chiuso alla prima posizione la bellezza di dieci stagioni, tenendo il primato per il tempo record di 438 settimane. Per spiegare ancora meglio la portata di quanto fatto dai Bryan, basta paragonarli a un altro duo leggendario del doppio: gli australiani Todd Woodbridge e Mark Woodforde di slam ne hanno conquistati “solo” 11, mettendo in bacheca 61 tornei. Un’enormità che diventa molto meno rilevante se messa a confronto con il palmares dei californiani.

Il doppio negli ultimi decenni ha subito enormi cambiamenti, perdendo costantemente di appeal e seguito. E’ stato sempre più difficile trovare due giocatori simbolo della disciplina. Appare impossibile mettere sullo stesso piano i Bryan con diverse coppie che, ormai più cinquantina di anni fa, hanno inanellato numerosi successi nonostante la competizione molto più alta, come la coppia formata da John Newcombe e Tony Roche, capace di portare a casa 12 slam insieme, oppure quella di John McEnroe e Peter Fleming, che di slam ne ha vinti sette. A differenza loro, Bob e Mike hanno dovuto affrontare una concorrenza molto meno spietata, e per questo non possono appartenere alla stessa categoria di doppisti. L’impresa dei Bryan, oltre ai titoli, sta però nell’aver tenuto a galla una categoria di tennisti sempre più in difficoltà, passando per vari decenni e mantenendo puntati i riflettori su di loro, in un’epoca in cui era molto più complicato rispetto al passato.

Quella di giocare in doppio, per i Bryan, è stata una scelta-non scelta. In pratica, è venuta da sé, con i due che hanno iniziato a macinare successi assieme fin dalla tenera età. Dopo aver preso in mano la racchetta per la prima volta a due anni (!), Bob e Mike hanno messo in bacheca il loro primo titolo a sei anni. Da lì non si sono più fermati, crescendo di anno in anno e arrivando presto a diventare la coppia più leggendaria che il doppio abbia mai visto. Il loro gioco è stato, dal primo all’ultimo incontro giocato fianco a fianco, perfettamente complementare. Bob ha sempre avuto un servizio più efficace e un gioco maggiormente esplosivo, mentre Mike si è sempre distinto per un’eccellente risposta e per gli ottimi colpi a rete.

Come evidenziato spesso anche dai genitori, sarebbe stato molto più complicato crescere due giocatori per farli arrivare nell’olimpo dei singolaristi. “Tanti ragazzi che iniziano con il tennis sognano di diventare i numero uno in singolare, ma per due fratelli gemelli con lo stesso DNA, gli stessi genitori, lo stesso allenatore, la competizione sarebbe stata troppa – afferma il padre Wayne ai microfoni del New York Times -. Come fai a essere il numero uno del mondo se sei il numero due nella tua camera da letto? Sono nati per giocare in doppio”.

I Bryan non hanno lasciato il segno solo per il loro gioco. Con la fondazione della “Bryan Bros Band”, Mike e Bob hanno iniziato a suonare durante i loro tour per motivi sportivi, con Bob alla tastiera e Mike alla batteria o alla chitarra. Un altro gesto per cui hanno lasciato il segno è stato il “Chest Bump”, l’iconica esultanza petto contro petto, molto più complicata nella sua esecuzione di quanto si possa pensare (sono nati anche vari tutorial per eseguirla perfettamente).

Certo, un addio del genere, senza alcuna passerella, non se lo sarebbe aspettato davvero nessuno, loro in primis. Quasi un anno fa i Bryan avevano annunciato che gli US Open 2020 sarebbero stati il loro ultimo torneo prima di salutare un mondo a cui loro hanno dato tanto e viceversa. La pandemia ancora presente, che ha costretto a organizzare lo slam newyorkese senza spettatori e con ferree regole di sicurezza, ha fatto cambiare i programmi di Bob e Mike, che hanno preferito non prendere parte all’evento, salutando tutti con un commovente post sui social. Non è l’addio che si meritavano due pilastri di questo sport, ma ciò che hanno fatto per il tennis non verrà mai dimenticato da chi davvero ama la racchetta.