La storia della 25enne statunitense, in ascesa e dominante tra Lexington e New York, tra decisioni coraggiose e perseveranza

Ha vinto il primo torneo ufficiale della ripartenza del circuito Wta lasciando per strada appena 24 game, gli stessi sfuggiti durante un cammino da urlo fin qui valso l’accesso alle semifinali degli Us Open. Jennifer Brady è sicuramente tra le giocatrici più in forma – se non la più in forma – e, dopo il titolo di Lexington, si candida a un ruolo di possibile regina di Flushing Meadows. Venticinque anni, nata ad Harrisburg (capitale della Pennsylvania) e abituata sin dalla tenera età ad allenarsi con ragazzi, la storia della Brady è caratterizzata da diverse scelte coraggiose. La prima è stata quella di proseguire il suo processo di maturazione all’interno dell’ambiente del college. Dopo essersi allenata alla Evert Tennis Academy e aver visto la compagna Madison Keys intraprendere sin da subito la carriera del professionismo, Jennifer ha scelto di giocare con la casacca dell’University of California, a Los Angeles, vincendo anche il titolo NCAA nel 2014 e alternando l’attività Itf. Nello stesso anno ha provato le qualificazioni nello Slam di casa, il primo tentativo sul circuito maggiore: la consapevolezza della Brady era a quel punto sbocciata ed era pronta lanciarsi a pieno regime nel tour Wta.

Per compiere l’agognato salto di qualità, però, serviva un’altra scelta audace: lo scorso inverno la statunitense ha lasciato la sua base abituale in Florida per volare in Germania e allenarsi con il coach tedesco Michael Geserer: “Volevo qualcosa di più, non ero felice del punto in cui ero arrivata. E così ho fatto”. Una preparazione durissima, seguita anche dal trainer Daniel Pohl, sei giorni di allenamento su sette e il riposo domenicale a Regensburg. Per i primi risultati, in fondo, non si è dovuto neppure attendere così tanto: nel primo torneo del 2020, a Brisbane, Brady supera le qualificazioni e batte Maria Sharapova (il penultimo match della sua carriera) e la numero 1 al mondo Barty, poi raggiunge le semifinali di Dubai.

Neppure il lockdown ha fermato l’ascesa di Jennifer, proseguita al contrario ancor più perentoria. Merito dell’attitudine nel seguire il dettagliato piano di Geserer inoltrato dalla Germania verso la Florida, il resto lo stanno facendo le più classiche armi della scuola americana: un servizio ottimo e un dritto devastante. Tra Lexington e Us Open (nel mezzo lo stop al primo turno a ‘Cincinnati’) l’attuale numero 41 al mondo non ha concesso alcun set alle proprie avversarie e l’incognita più grande, a maggior ragione contro un’avversaria come la Osaka già abituata a vincere su certi palcoscenici, potrebbe essere la tensione. “Entrando in campo, a dire il vero, me la stavo facendo sotto – le parole della Brady dopo i quarti di finale contro Putintseva – Quando sono andata al servizio nel quarto game ho iniziato a sentire stanchezza nelle gambe ma ho capito che dovevo continuare a lottare. Sarebbe stato più bello con i 20.000 spettatori sull’Arthur Ashe ma siamo in tempi difficili. Sono contenta di essere ancora in gara, forse il match è stato anche più facile senza pubblico”. In attesa di Serena Williams, gli Usa non possono comunque lamentarsi.