A 27 anni ha detto basta Carlos Boluda Purkiss, l’ex enfant prodige che una quindicina d’anni fa venne etichettato come il nuovo Nadal. Non è mai arrivato nel tennis che conta, e ha sofferto enormemente le aspettative, al punto da definire il ritiro una liberazione. Una lezione che molti dovrebbero imparare.
Best ranking, numero 254
Potesse riavvolgere il nastro della sua carriera, Carlos Boluda Purkiss stravolgerebbe tutto. Sceglierebbe di stare alla larga da quei due titoli di fila al Les Petits As di Tarbes che fra 2005 e 2006 attirarono l’attenzione sul suo tennis, così da smarcarsi da quel paragone di “nuovo Nadal” che l’ha accompagnato per i primi anni di carriera, rovinandogliela. Di certo, gli darebbe un finale diverso rispetto a un ritiro silenzioso a 27 anni, col best ranking al numero 254 e nemmeno una singola apparizione nel circuito maggiore. La decisione di alzare bandiera bianca è stata presa a metà novembre, fedele alle promesse degli anni precedenti. Raccontava che se non fosse riuscito ad andare oltre certi livelli avrebbe lasciato perdere, e così ha fatto, mettendo fine a una carriera di cui si parlava al passato già da anni.
Ogni volta che saltava fuori il suo nome, tutto tornava là, a quella maledetta dichiarazione di Toni Nadal (avvalorata da “Rafa”) secondo il quale a parità d’età Boluda esprimeva un tennis migliore rispetto al nipote. Una frase detta a cuor leggero, per applaudire i meriti di un giovane emergente. Ma che per Boluda, all’epoca dodicenne, è diventata l’inizio della fine. Il suo manager di allora – al quale oggi attribuisce la gran parte delle ragioni del suo fallimento – fiutò l’affare e iniziò a “vendere” il suo assistito come il nuovo Nadal, creando un meccanismo mediatico che a distanza di 15 anni non si è ancora smontato. L’agente pensò solo al tornaconto economico, senza considerare il rischio di bruciare un ragazzino che di Nadal aveva gran poco, e non era pronto per sostenere il peso delle aspettative. Col senno di poi, rileggere certi passaggi degli articoli dell’epoca fa capire molto. Gli buttavano in faccia a ripetizione il confronto con Nadal, e lui tentava di svicolare. Forse, malgrado l’età, Carlos aveva già le idee più chiare di chi lo circondava.
Dai sogni alle sedute con lo psicologo
Va precisato che il Nadal dell’epoca non era il Nadal di oggi: era il 2006, “Rafa” aveva vinto i primi Slam ma era difficile immaginare che 15 anni dopo sarebbe stato nel ristrettissimo club dei più forti di tutti i tempi. Il parallelismo, oggi, stonerebbe molto di più (anche se torna regolarmente quando si parla di Carlos Alcaraz Garfia: per sua fortuna la materia prima è di ben altra qualità), ma per un ragazzino ancora impegnato nei tornei under 14 era comunque esagerato. Boluda ha sofferto il peso di dover soddisfare prima le ambizioni altrui che le proprie, si è accorto che i sogni di un 12enne possono diventare gli incubi di un ventenne, ed è diventato il volto più gettonato da associare a una carriera mai decollata. Ogni anno che passava le persone al suo fianco erano sempre meno, gli sponsor hanno onorato gli accordi siglati all’epoca ma poi sono spariti, e gli allenatori ad aver creduto sul serio nelle sue potenzialità sono stati pochi. Così si è trovato spesso solo, a fare i conti una dimensione ben diversa da quella immaginata.
Anche gli infortuni hanno fatto la loro parte, costringendolo a un lungo stop a 15 anni e poi a saltare quasi tutto il 2011, sempre per un problema al polso. Già allora era stato sull’orlo dell’abbandono, ma ha scelto di andare avanti e in mezzo a tante difficoltà ha anche vissuto dei periodi felici. Il suo anno migliore è stato il 2018: ha vinto tre titoli Futures (dei 9 in carriera), è arrivato al numero 254 Atp e ha iniziato a frequentare i Challenger. Sembrava la base per un futuro ancora più importante, invece i risultati delle ultime due stagioni non sono stati all’altezza. Nel 2020 gli è capitato di non trovare più se stesso, di arrivare ai tornei e chiedersi come mai fosse lì, e con quali ambizioni. Un campanello d’allarme fortissimo. Anche se la fame di tennis c’era ancora e la condizione fisica era forse la migliore di sempre, è venuta meno la forza mentale necessaria per sgomitare 30 settimane all’anno nei tornei minori, e le altre 22 sui campi d’allenamento per inseguire un sogno proibito, col conto in banca perennemente in rosso. Così ha deciso di dire basta.
Il ritiro è un sollievo: le etichette fanno male
Una volta messo via il pensiero, Boluda si è accorto che quel ritiro dal sapore di fallimento rimandato per anni si è presto trasformato in un sollievo. O una liberazione, come l’ha definito lui, scegliendo una parola che fa capire bene ciò che ha vissuto, fra etichette e delusioni, infortuni, la fiducia data alle figure sbagliate e quella sensazione logorante di non essere all’altezza del futuro che altri avevano prenotato per lui. È finito persino nello studio di uno psicologo, per trovare la forza di andare avanti in barba a chi lo additava come una delusione, ma ora, finalmente, fa tutto parte del passato. Nel presente, invece, c’è già un nuovo ruolo di coach della connazionale Núria Parrizas, sua fidanzata da fine 2019. A 29 anni è numero 233 del mondo, e non sembra avere chissà quali prospettive. Ma il loro rapporto professionale è iniziato subito con un titolo che lascia ben sperare. Boluda ha raccontato che prima di conoscerla non avrebbe mai pensato a un futuro da coach, immaginandosi in un altro mondo. Ma con lei è cambiato tutto e ha deciso di dare al tennis un’altra chance, sotto una nuova veste.
La buona notizia è che, da allenatore, Boluda non è il nuovo nessuno. È solo un ragazzo che prometteva bene e non è riuscito a sfondare, scegliendo di cambiare strada. Come a tanti è successo e a tanti altri succederà. Durante la sua carriera, lui di aiuto ne ha ricevuto ben poco, ma è comunque pronto a mettersi al servizio degli altri. Magari non sarà la figura ideale per insegnare a un giovane come emergere, ma di certo sa bene da cosa è meglio stare alla larga, perché l’ha provato sulla propria pelle. I paragoni coi giganti fanno piacere, attirano l’attenzione e inizialmente possono far sorridere anche il portafoglio, ma nascondono delle aspettative che non tutti hanno la forza di sopportare. Lui non ce l’ha avuta, ma non si può fargliene una colpa. La sua resterà una storia che può insegnare tanto, a tanti. Anche perché il mondo del tennis di un nuovo Nadal non ne ha ancora bisogno nemmeno oggi. Figurarsi quindici anni fa.