In un atto di fiducia estrema il nostro biblista immagina la qualificazione di Roger Federer alle Atp Finals di Torino. Dai filosofi antichi il conforto anche per credere all’impresa (quasi) impossibile

Credo quia absurdum. Molti conosceranno, per antichi ricordi scolastici o catechistici, questa frase latina attribuita a Tertulliano. “Credo perché è assurdo”: tradotto, là dove si ferma la ragione, arriva la fede a rischiarare l’assurdo. Già ci sarebbe molto da discutere, lasciandosi aiutare da parole luminose di un testo mai abbastanza consigliato, Resistenza e resa di Dietrich Bonhoeffer (pagine scritte dalla prigionia per mano dei nazisti tra il 1943 e il 1945!): “Le persone religiose parlano di Dio quando la conoscenza umana è arrivata alla fine o quando le forze umane vengono a mancare … Io vorrei parlare di Dio non ai limiti, ma al centro. Raggiunti i limiti, mi pare meglio tacere e lasciare irrisolto l’irrisolvibile … È al centro della nostra vita che Dio è aldilà … Dobbiamo trovare Dio in ciò che conosciamo: non in ciò che non conosciamo … Dio non è un tappabuchi: non deve essere riconosciuto solamente ai limiti delle nostre possibilità, ma al centro della vita; vuole essere riconosciuto nella vita, e non solamente nel morire; nella salute e nella forza, e non solamente nella sofferenza; nell’agire, e non solamente nel peccato. La ragione di tutto questo sta nella rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Egli è il centro della vita, e non è affatto ‘venuto apposta’ per rispondere a questioni irrisolte”. Non lo abbiamo ancora capito!

Se avete avuto la pazienza di seguirmi fin qui, ecco un capovolgimento, come un dropshot del Re coperto fino all’ultimo, quando ci si sarebbe aspettati un dritto lungolinea… Tertulliano non ha mai detto quelle parole (così come san Benedetto non ha mai detto Ora et labora, ma questa è un’altra storia)! Gliele ha messe in bocca secoli dopo Voltaire. Il teologo latino ha invece scritto: “Certum est, quia impossibile”, applicandolo niente meno che alla resurrezione di Cristo. Non serve traduzione, il concetto è chiaro: impossibile? Sì, dunque certo. Allora le cose cambiano: non un invito fideistico ma una spinta a un paradossale atto di fede(rer).

La fede è convinzione, non certezza? Bene, questa convinzione può anche spingerci alla certezza. Certo, da cernere: separato, dunque scelto, deciso. Di fronte a quello che oggi pare impossibile, occorre scegliere di aprire una strada: la meta sarà “certo”, che nel frattempo, match dopo match, avremo accolto e scelto. Fino a trovarci a quel punto, e da lì ricominciare.

Lo so, vi state chiedendo: dove vuoi andare a parare? All’ennesimo atto di Federer, in apertura di un anno in cui la lotta contro la pandemia ci richiede ancora più forza di quella del 2020. La scorsa settimana, in concomitanza con la presentazione ufficiale delle ATP Finals 2021-2025 a Torino, ho comprato un biglietto per la finale, il 21 novembre prossimo. E così un altro paio di amici. Follia? Forse, anzi certo. Non avrei fatto meglio, se mai, a prenotare le due semifinali? Già è difficile che Roger metta insieme i punti per arrivare lì: ricomincerà a giocare più tardi degli altri; verrà da oltre un anno di inattività; sarà ormai alle soglie dei 40 e poi oltre a novembre…

Tutto vero. Eppur ci credo. Covid permettendo, dovrei rivederlo dal vivo a metà giugno ad Halle, dove l’Artista inizierà la campagna sul verde (l’ultima?). Poi lo seguirò da lontano a Church Road, dove non potrà non deliziarci. Ragionate: se il 14 luglio 2019 è arrivato per due volte a un punto dallo strappare il torneo a Nole (contro il quale negli Slam ha vinto l’ultima volta nella semi di Wimbledon 2012, perdendoci poi 6 volte); se nella semi degli ultimi Australian Open, pur menomato, ha quasi vinto il primo set; se si prepara verso questo appuntamento come a quello centrale, sapendo che “certamente” è l’unico e ultimo Slam alla sua portata; se ci aggiungiamo la tigna accumulata dal campione ferito, che gioca nel suo giardino: perché no? “Certum est, quia impossibile”. Poi le Olimpiadi. Poi, poi, poi… il saluto a Torino: forse finale, certo in finale.

Mi espongo al pubblico ludibrio lo so. Ma l’amore e la fiducia (non dico neanche la speranza, troppo facile) non hanno paura neanche di questo. Proprio come Roger dice alla fine dell’indimenticabile Strokes of Genius (2018), film-documentario sull’eterna finale di Wimbledon 2008 persa contro Rafa: “Ho imparato molto da questi match e sento di essere cresciuto, di avere più esperienza della vita”. Lo stesso vale per il nostro perseverare in atti di Federer.

Impossibile? Certo.