Una gestualità anarchica, abbinata però ad una grande efficacia, è la cifra tecnica del russo, che ha domato Tsitsipas esibendo un tennis imprevedibile e affascinante. Ora gli tocca la prova del nove contro Djokovic, la speranza è di assistere ad una bella partita

Parlando di Medvedev, Luca Bottazzi, l’ha definito ‘Legno Storto’. Che detta così suonerebbe male. Suona meglio invece, sapendo che il buon Luca si riferisce all’accezione del termine che esalta l’imperfezione, e mette il tennis del russo sul piano dell’arte.

Una visione che condivido in pieno! E aggiungo, in tema di legno, che la mimica del moscovita rimanda a quegli ulivi secolari, cresciuti senza dar retta a nessuno, scolpiti da un estro bizzarro che attiene soltanto a madre natura.

Traslata pari pari nello sport della racchetta, la riflessione direbbe che una gestualità così tarantolata abbia fatto di testa propria, plasmandosi secondo una concezione anarchica dell’apprendimento, votata a captare qualche sporadico spunto lasciando all’istinto la briga di fare il resto. Un gioco, quello di Medvedev, a perfetto agio nella sua foggia un po’ naif, ricco di quella personalità che fa di un giocatore normale un campione a tutto tondo. Tutto nasce da impatti ravvicinati portati da gesti veloci tolti alla svelta dalla palla, neanche avesse paura di scottarsi. Uno scompiglio all’universo biomeccanico che rimette in discussione canoni tecnici fino a ieri inamovibili, oggi vaganti nell’etere all’inseguimento del dubbio.

Un gioco che vestito di simbolismi somiglierebbe a quello astuto delle tre carte nel quale quando pensi di aver fatto tana, …zac, ti rifila lo sgambetto vanificando la puntata.

Nella battaglia di Melbourne, a fronte alta è entrato in campo Tsitsipas, il bell’Achille dei giorni nostri, quello che non ama scendere troppo a compromesso e che oggi è inciampato col tallone in un gioco troppo spumeggiante. Oltre la rete si è schierato, invece, il fantasma di quel Chlestakov della letteratura russa che nell’800 approfitta con opportunismo di una situazione fruttuosa ideata dal miglior Gogol in una famosa commedia degli equivoci.

Dalla Rod Laver Arena, Medvedev non le ha mandate a dire! E siccome se gli dai un dito lui si prende il rimanente, di fronte alla potenza del bel Tsitsipas ha restituito tutto con gli interessi. Gli è bastato appoggiarsi sulla palla col giusto timing per rinviarla al mittente con spreco di imprevedibili invenzioni, guidate da colpi quasi piatti che rimangono un mistero ben custodito tra lui e la balistica. C’è poco altro da dire, se non che otto titoli di grande spessore più una finale all’US Open fanno del moscovita un bel mistero del tennis che sarà.

Con l’occhio a mezz’asta di chi è sceso appena dal letto, nella bolla di Melbourne deve aver vagato in pigiama e babbucce riavendosi soltanto al momento giusto. Fin qui ha lasciato per strada la miseria di due set, per il resto, è il caso di dirlo, ha dormito sogni tranquilli e sornione, sornione ha fatto il gioco delle tre carte fingendo di russare. Dopodomani, di là della rete ci sarà un serbo pericoloso che nella terra dei canguri ha mietuto solo vittorie e a Legno Storto sarà necessaria tutta la sua arte per sperare di vincere o quantomeno fare partita.