Naomi Osaka vince due Slam di fila ma in testa alla classifica WTA rimane Ashleigh Barty, mentre Federer è ancora numero 5 pur senza giocare da oltre un anno. Il sistema di ranking adottato per far fronte alla pandemia inizia a presentare parecchie discrepanze

Barty n.1 con soli tre tornei in un anno

È stato ideato per garantire equità, con l’obiettivo di non penalizzare i giocatori impossibilitati (o non intenzionati) a viaggiare in tempi di pandemia. Ma ormai è evidente come il sistema di ranking attualmente in vigore, con i migliori risultati spalmati su due anni e non più su uno, faccia acqua da parecchie parti. La prova regina è ai vertici della classifica WTA: in testa c’è sempre Ashleigh Barty, che ha giocato solamente tre tornei negli ultimi dodici mesi, mentre Naomi Osaka è rimasta alle sue spalle pur avendo vinto prima lo Us Open e poi l’Australian Open. Addirittura, il divario è talmente ampio che per colmarlo la giapponese avrebbe bisogno di un terzo titolo Slam, visto che fra i suoi 7.835 punti e i 9.186 della numero uno “fantasma” ne ballano 1.351: più dei 1.300 finiti nel best 16 di Jennifer Brady per la finale a Melbourne Park. Una situazione sempre più discutibile, specialmente ora che il circuito sta gradualmente ritrovando una conformazione normale, con tornei in tutti i continenti e un calendario più o meno definito.

In oltre 45 anni di WTA era successo pochissime volte che una giocatrice non si trovasse in testa alla classifica dopo aver vinto due Slam consecutivi. L’ultima volta era capitato nel 2000, quando Venus Williams conquistò i suoi due primi Major vincendo Wimbledon e Us Open, ma davanti a tutte rimase comunque Martina Hingis. Tuttavia, pur senza vincere alcuno Slam (ma con una finale, due semifinali e un quarto), quell’anno la svizzera difese la vetta con 9 titoli e 77 vittorie complessive, mentre la Barty l’ha conservata senza giocare, preferendo rimanere a casa e abbattere ogni rischio sanitario. Era un suo diritto, ma ne emerge che il sistema studiato per combattere le limitazioni imposte dal Covid ha fatto un gran regalo a tutti quei giocatori che hanno fatto grandi cose nel 2019, mentre sta sempre più stretto a chi ha giocato bene negli ultimi mesi, perché non ne premia a dovere i risultati.

La vetta immeritata e il caso Federer

Senza faticare troppo, la Barty ha portato a ben 64 le sue settimane da numero uno del mondo, agguantando Simona Halep al decimo posto nella classifica delle leader più longeve dal ’75 a oggi. Il tutto senza considerare le 20 settimane nelle quali il ranking è stato congelato, dal 23 marzo al 9 agosto 2020. Quelle non le vengono conteggiate, ma le altre sì, malgrado la sua leadership fosse comunque pressoché inattaccabile per ragioni di regolamento. Ed è praticamente certo che la 24enne del Queensland supererà anche Caroline Wozniacki, nona con 71 settimane. Giocatori e giocatrici avranno la possibilità di far valere alcuni risultati del 2019 fino al termine della stagione in corso, quindi almeno fino a fine anno la classifica continuerà a presentare parecchie distorsioni. Per citarne un’altra, Angelique Kerber oggi è numero 26, mentre con le regole tradizionali sarebbe più indietro di ben 51 (!) posizioni.

Le falle del sistema sono meno evidenti nei piani alti della classifica maschile, perché gli otto Slam giocati fra 2019 e 2021 se li sono spartiti Djokovic e Nadal (con l’intromissione di Thiem all’ultimo Us Open), ma c’è comunque il caso molto curioso di Roger Federer. Negli ultimi tredici mesi il campione svizzero non ha messo una sola volta piede in campo, eppure è ancora al numero 5 del ranking, in virtù dei risultati del 2019 e della semifinale dello scorso anno all’Australian Open. Per assurdo, data l’abolizione della classifica Race per il 2020, Federer avrebbe potuto persino partecipare alle ATP Finals di Londra, pur avendo disputato solamente un torneo nell’arco della stagione, 10 mesi prima del Masters. Vien da pensare che in una situazione normale Roger avrebbe forse accelerato il rientro per non ritrovarsi senza classifica ATP, ma a lui la situazione ha dato certamente una gran bella mano.

Ha aiutato gli italiani ma falsifica il ranking

Anche i migliori giocatori italiani hanno beneficiato eccome della riforma, senza la quale non è esagerato dire che oggi l’Italia si troverebbe senza top-20. Infatti, Matteo Berrettini ha conservato un posto al numero 10 del mondo malgrado un 2020 non all’altezza delle aspettative, che l’ha visto raccogliere solo 595 punti. In un’annata normale gli sarebbero stati appena sufficienti per conservare un posto fra i primi 100 del mondo, mentre in una stagione con molti meno tornei sono comunque un discreto bottino, ma comunque insufficiente per un giocatore del suo calibro. Tanto che, in una ipotetica classifica relativa al solo 2020, il laziale non sarebbe stato nemmeno fra i migliori 30.

Se a Berrettini è andata bene, a Fognini è andata di lusso: non solo perché lo stop del circuito gli ha regalato il momento ideale per operarsi alle caviglie, ma anche perché la possibilità di saltare tornei senza rimetterci posizioni di classifica ne ha favorito un recupero meno esasperato. Tanto che, pur avendo messo insieme solo 310 punti in un anno (per intenderci: ne ha raccolti di più nella sola trasferta australiana da poco terminata), il 33enne ligure ha conservato comunque il suo posto fra i primi 20 della classifica, al numero 18. Una differenza che può rivelarsi molto preziosa, sia livello di teste di serie sia – non va dimenticato – di garanzie economiche da parte di tornei e sponsor.

E non è finita qua: Fognini potrà difendere il suo titolo a Monte Carlo in condizioni decisamente migliori (si è visto in Australia) rispetto a quelle in cui si sarebbe presentato al Country Club nella passata stagione, mentre Berrettini vedrà scadere i punti del suo splendido 2019 in una stagione iniziata decisamente meglio rispetto alla scorsa, nella quale ne avrebbe lasciati per strada parecchi. Tuttavia, il favore fatto ai nostri migliori due giocatori non può e non deve influenzare il giudizio su un sistema che toglie veridicità alle classifiche. Prima verrà abbandonato e prima il ranking tornerà a esprimere a pieno gli attuali equilibri dei due circuiti. Anche se la sensazione è che ce lo porteremo appresso ancora per un po’.