Dicono che – dopo – sarà un mondo diverso, forse migliore. Il Sistema tennis deve aiutare chi ci ha rimesso di più: seconda e terza fascia di giocatori, e giovani
Il Decreto straordinario Benjamin Button
Dicono tutti che sarà un mondo diverso, quello che ritroveremo ‘dopo’. Magari migliore, ma diverso. Rapporti sociali, lavoro, scuola, economia, anche lo sport. Dicono che ci vorranno idee e risorse per mitigare le diseguaglianze, che inevitabilmente aumenteranno. In tutti i campi, ci vorranno menti illuminate, manager con una visione più ampia del semplice «è finita, ricominciamo da dove ci eravamo fermati». Facile, ma banale.
Il mondo, tutti i mondi quindi anche quello sportivo, avrà invece bisogno di più equilibrio, e di più giovinezza. Giovinezza «di tutte le età», come stato mentale in cui esista il possibile e non solo il probabile, o lo scontato. Stato mentale capace di rivoluzionare le cose, se serve.
Nel tennis professionistico, significherebbe aiutare chi ci ha rimesso di più nel disgraziato 2020, la cui onda peraltro si sta pericolosamente allungando. Seconda e terza fascia di giocatori e giocatrici, e giovani. Se hai fatto una buona carriera e sei stabilmente nei primi 100 del mondo, non sarà un anno buco che ti può creare problemi. Succede in tutte le professioni, coinvolge tuttora molte persone. Ma se sei «nel limbo», se stavi per farcela ma non c’eri ancora riuscito, o eri in piena ascesa e ti sei dovuto fermare, che fai?
Se hai messo tutto te stesso nel tennis, se hai scommesso su di te, che soluzioni hai? Smetti? Ci riprovi? Già, ma con quali mezzi? Il tennis costa un occhio, e se non sei arrivato nei primi 150 del mondo, sei in perdita. Non si può rispondere con il classico «è uno sport professionistico, chi lo fa, deve saperlo». Eh no, perché stavolta è diverso. Il fattore che ha frenato le mie ambizioni è esterno, non c’entra col mio gioco, con le mie capacità, con la mia determinazione. Per dare equilibrio, il governo del tennis dovrebbe allora varare, coraggiosamente, una misura eccezionale: il Decreto Straordinario Benjamin Button.
Ridistribuire i proventi dei tornei, garantendo prize money più equilibrati, in pratica pagando di più chi perde prima. Detassare i premi dei primi e secondi turni. Non è possibile che chi vince un Grande Slam continui a guadagnare sessanta volte di più di chi perde al primo turno. Cristiano Ronaldo guadagna molto di più dei suoi compagni, ma non sessanta volte di più dell’ultimo panchinaro. Per un anno, ci vuole una liason etico-finanziaria, che consenta di riassestare il sistema. Ma devono essere d’accordo tutti: Atp e Wta, federazioni, giocatori, sponsor.
Thiem non è l’unico a pensarla così
L’abbiamo sentito tutti Dominic Thiem, quando qualche mese fa ha rifiutato un’idea simile, dietro il paravento della maggior bravura, che lui avrebbe – e che certamente ha – e altri colleghi no. «Perché dovrei dare soldi ai giocatori meno bravi?». Non puoi parlare così se fai parte di una comunità, peggio ancora se è una comunità di sportivi. Tu sei un ottimo giocatore ma non hai etica. Tu non ami il tennis, tu lo usi.
Non è l’unico a pensarla così, Thiem. Gli uomini del resto sono quello che sono: vogliono far soldi anche su Lourdes o sulla Luna. Molti non sono buoni, e nemmeno solidali. Ma se aspettassimo di diventare buoni per fare le cose, non faremmo mai nulla: sì o no? E allora bisogna che ci pensi chi ha in mano le carte da gioco di un business da 3 miliardi dollari. Si chiama sostegno. Quando, se non adesso? Non serve un premio Nobel.
Esempio: il 10% dei monte premi di tutti i tornei da 1 milione di dollari in su, ridistribuito per rinforzare i montepremi dei tornei minori, compresi Challenger e ITF.
Abbandonare, o riconsiderare, lo schema fisso delle teste di serie e dei bye. Per un anno tutti partono alla pari.
Indirizzare sull’attività cosiddetta minore, ma che minore non è, una percentuale dei diritti televisivi complessivi introitati dai tornei per i quali, bontà loro, rappresentano il primo ricavo.
Incentivi agli under 20, garantendo loro un trattamento economico di base, in funzione dell’attività svolta ma anche di quella non svolta perché impossibile. Invertire – per un anno – il senso della progressione classica della carriera rompendo la fideistica correlazione fra denaro e vittorie. L’incentivo, o l’aumento dei monte premi non lo deve mettere l’organizzatore, ma il Sistema. Immaginiamo un Recovery Plan del tennis, con una distribuzione più equa dei proventi. Se migliaia di giovani buoni giocatori hanno dovuto saltare due terzi di stagione, non basta congelare la classifica, non si applica la regola «arrangiati», che vuol dire per alcuni espulsione dal circuito. Che cosa ci guadagna il Sistema con l’espulsione? Perdiamo tutto.
Impariamo dalla Nba
Prendiamo esempio dalle leghe pro americane, la cui preoccupazione è sempre quella di offrire un prodotto il più equilibrato possibile. Come? Ampliando e proteggendo il reclutamento. Non è una questione di sport individuale o a squadre, ma di mentalità. Per garantire equilibrio nel tennis, bisogna che i migliori rinuncino a qualcosa. È stata la Nba a introdurre il salary cap, e sempre la Nba a sviluppare per prima il sistema dei draft. Per riequilibrare le forze in campo, in altre parole per rendere sempre competitivi i loro campionati, gli americani si sono inventati un sistema che si può così riassumere. La squadra che ha vinto l’ultimo campionato, sceglie i migliori giovani che escono dal college per ultima, quella che si è classificata all’ultimo posto sceglie per prima. Benjamin Button applicato allo sport.
Anni fa ho assistito a un draft della Nba ed è stata un’esperienza formativa anche perché nell’ufficio dei Cleveland Cavaliers, collegato in permanenza con l’hotel Astoria di New York dove si trovavano dirigenti allenatori e scout di tutte le squadre si respirava il clima di una sala borsa durante gli ultimi minuti di importanti contrattazioni. Quello dei draft è un sistema irriproducibile in qualunque altro contesto, sotto certi aspetti può sembrare artificiale ma la cosa straordinaria è che costringe i più bravi, i più forti, a un atto di costrizione. È quello il punto chiave. È come se la Juventus, o il Milan accettassero, ogni fine anno, di prendere solo i giocatori scartati dalle altre squadre. Queste misure, certamente rivoluzionarie, furono difese con coraggio da David Stern, che è stato commissioner della Nba per 29 anni. Stern, un manager che avrebbe potuto tranquillamente dirigere la General Motors, la CIA o il Pentagono, aveva il pallino dell’equilibrio. Nel corso di un’intervista che mi concesse per Tuttosport, fu chiarissimo: se vincono sempre gli stessi, la gente si allontana perché si annoia. «Dobbiamo sempre dare benzina al movimento», disse. «La noia in una partita – aggiunse con un’espressione molto convincente is like kissing your sister», è come se tu baciassi tua sorella. Non c’è gusto!