In risposta alla delusione di Paolo Bertolucci per non aver condiviso ufficialmente i festeggiamenti per la vittoria in Davis, il nostro direttore propone…
Paolo Bertolucci ha ragione, credo che sia tempo di sotterrare l’ascia di guerra. La prima e la seconda – e mi auguro, credo, fortemente desidero non ultima Coppa Davis dell’Italia, sono due grandi momenti nella storia del tennis italiano. Avvicinarli, accomunarli senza fare graduatorie, dimenticando per un attimo le differenze fra la vecchia Davis e la nuova, fra quei tempi e questi sarebbe, credo, l’occasione di una grande gioia per tuti gli appassionati.
La fortunata docuserie «Una Squadra» di Domenico Procacci, che ha dimostrato il suo amore per il nostro sport anche diventando con coraggio l’editore de Il Tennis Italiano, in un momento non certo splendido per l’editoria, ha riportato alla memoria le imprese di moschettieri di cinquant’anni fa. Che a loro volta si sono ritrovati, riavvicinati, ricompattati nonostante le differenze di carattere e di scelte personali. Perché fra loro, nonostante divergenze non banali – qualche uscita non centratissima del grande Nicola Pietrangeli ce le ricorda ancora oggi… – c’è sempre stato grande rispetto e (uso un termine oggi poco popolare) grande solidarietà nel difendere l’importanza di quel successo. Perché insieme a quei tempi hanno saputo essere uniti in vista di un obiettivo comune, dimenticando screzi e differenze, sacrificandosi, faticando. E lo stesso hanno saputo fare i moschettieri di oggi, remando tutti dalla stessa parte, accettando ciascuno il proprio ruolo nel gruppo.
Ciò che ha diviso la Fitp da alcuni degli azzurri del ’76 oggi rischia di trasformarsi in un rancore fossile, che perde significato, e che soprattutto non interessa agli appassionati, a chi ama il tennis, e che magari non ne conosce neppure le ragioni. Durante glli ultimi Internazionali mi sono permesso di suggerirlo al Presidente Binaghi, con il quale non ho avuto sempre rapporti idilliaci negli ultimi (venti?) anni, ma di cui apprezzo le qualità manageriali. Organizziamo un evento proprio al Foro Italico, durante il nostro Masters 1000, invitiamo i protagonisti di allora e quelli di oggi, che da colleghi di epoche diverse si stimano, anche se per evidenti questioni generazionali non si frequentano molto, creiamo l’occasione di festeggiare tutti insieme il tennis italiano (con la minuscola, non è autopromozione).
Facciamo in modo che fra l’affetto per i campioni di ieri, e i successi del movimento di questi nuovi, splendidi anni, non ci sia un solco. Come ha ben detto Filippo Volandri, «la Coppa Davis è di tutti». E mi piacerebbe, non lo nascondo, che a quell’evento fosse invitato Fabio Fognini: nonostante la distanza che oggi lo separa proprio da Filippo. Certe divisioni, personali e di principio, sono difficili, difficilissime da superare. Ma non è impossibile riuscirci. Buonismo? Lo pensino i cinici. Io preferisco credere che si tratti di realismo. E di buonsenso. Non credo di essere il solo.
PS: magari nell’occasione sarebbe bello proiettare qualche brano di ‘Una Squadra’, accanto a un po’ di immagini del trionfo spagnolo. Domenico, che si imbarazza per «l’autopromozione», chissà se è d’accordo. E chissà il presidente Binaghi. A me, che sento un certo friccicore quando vedo le immagini di Santiago, e che a Malaga, in tribuna, ho cercato di nascondere i lucciconi – no tears, in the press box… – piacerebbe assai.