Il tennista cresciuto a Porto San Giorgio racconta la sua storia e spiega i reali motivi per cui la sua carriera tennistica non ha preso il volo
Gianluigi Quinzi, ritiratosi dal tennis due settimane fa, ha rilasciato alcune importanti dichiarazioni sul suo passato, presente e futuro a Sportface. L’ex campione di Wimbledon ha voluto fare chiarezza sul suo ritiro e sulle motivazioni che l’hanno spinto a prendere questa decisione già all’età di 25 anni.
“Giocare a tennis era diventato più un dovere che un piacere, ora sono contento perché sto studiando e l’anno prossimo dovrei laurearmi alla triennale”: questo l’esordio di Quinzi, che ha poi ripercorso la propria storia dall’inizio alla fine.
“Ho iniziato a giocare a tennis – racconta Gianluigi – all’età di circa quattro anni. Praticavo tanti sport e vedevo mio padre sempre al Circolo Tennis, dunque ho voluto provare. Dove, invece, è cominciato tutto dal punto di vista del professionismo, è stato all’accademia di Nick Bollettieri quando ho avuto la mia prima borsa di studi. Mi sentivo più bravo degli altri dal punto di vista della gestione del match, mentre tecnicamente forse avevo qualcosina in meno: ero molto competitivo e questo mi spingeva più su di molti altri. La vita da professionista ti piace nel momento in cui vinci: a 8 anni provai una settimana da Bollettieri e trionfai ai campionati americani Under 10. Questo non mi diede nemmeno la possibilità di pensare ad eventuali mancanze che si porta con sé la vita da professionista. Da grande poi ho iniziato a soffrire la pressione: non sono mai stato bravo a chiudermi in una bolla e, inoltre, non avevo forse la passione necessaria per superare le sconfitte che, nel tennis, a meno che non sia Djokovic o Nadal, arrivano tutte le settimane. Da adulti, conta molto di più l’aspetto mentale e io, complici anche alcuni infortuni di cui ho sofferto, non avevo la forza mentale necessaria”.
L’azzurro ha, inoltre, spiegato meglio le motivazioni per cui le pressioni lo hanno sopraffatto, svelandoci l’intenzioni di realizzarsi in un altro ambito: “Spesso si fanno dei commenti inopportuni: quando ho vinto Wimbledon sembravo il nuovo Nadal, dopo pochi mesi già scrivevano che ero un giocatore finito o che ero scomparso solo perché non riuscivo ancora a vincere un torneo Challenger senza faticare. Inoltre, io mi creavo autonomamente tantissime aspettative e queste venivano alimentate dal mondo intorno a me. Detto questo, non ho rimpianti perché ce l’ho messa tutta per provare a realizzare i miei sogni. Sono felice e prima non ero felice perché, con il passare degli anni, ho smesso di credere in certi obiettivi che erano diventati troppo grandi. Ora cercherò di realizzarmi in un altro ambito che mi piace, in modo tale che ci si potrà ricordare di me anche per altro e non solo per essere stato un buon tennista professionista. La mia esperienza tennistica mi potrà aiutare molto sia come coach sia in qualsiasi altra cosa”.
Quinzi è anche noto per aver spesso cambiato la propria guida tecnica e, a tal proposito, si è reso protagonista delle seguenti affermazioni: “Ad un certo punto ho cambiato tanti allenatori perché non trovavo feeling e molti non mi davano qualcosa in più che mi potesse migliorare. Ho pensato di cambiare il movimento del dritto, ma più gli anni passano e più diventa difficile cambiare un colpo. Ho creduto molto in me stesso nel 2018, quando ho raggiunto il mio best ranking, poi sono arrivati infortuni importanti che mi hanno frenato e mi hanno trascinato giù in classifica”.
Infine, un commento su Matteo Berrettini e un simpatico aneddoto su Jannik Sinner: “Per me è un onore aver condiviso tanti momenti con Matteo e si merita i grandi risultati. Per me può diventare una leggenda. Sono contento di vedere tanti ragazzi italiani nei primi 100 e ho un aneddoto su Sinner. Nel 2018, da numero 140 al mondo e pieno di fiducia, mi recai a Bergamo per un Challenger e giunsi ai quarti di finale. Mi trovai a doverlo sfidare e lui, ai tempi, era una wild card giovanissima, numero 300/400 al mondo. Pensai di trovarmi una grande occasione per arrivare in fondo e invece lui mi prese a pallate: lì capii che avrebbe fatto, in breve tempo, il salto di qualità”.