Caldo, rimbalzi alti e montepremi anche: è la stagione americana sul ‘duro’, che ci accompagna fino a Flushing. Per ora ha sorriso a Isner e Sinner, nella grande mela aspettiamoci una competizione al massimo livello con tutti i big in campo

Quando i rimbalzi lievitano, le frenate fischiano e le giunture gridano vendetta non ci sono dubbi: il tennis è in piena «US hard court season». Un percorso lungo più o meno cinquanta milioni di dollari che messi in fila, uno dietro l’altro, danno una striscia di sette appuntamenti spalmati tra Atlanta e New York. Due mesi di cemento, i più tosti dell’anno, la cui materia del contendere, neanche a dirlo, è l’ultimo slam dell’anno.

E se gli americani ce l’hanno nel dna, tutti gli altri devono fare invece i conti con una superficie diversa dalla terra scivolosa e la morbida erba appena archiviate con la stagione della vecchia Europa. Un arrangiamento diverso da giocatore a giocatore e sono in molti a saltare un torneo se non due. I più forti, di solito, si limitano ai Masters di Toronto a Cincinnati prima di approdare nella Grande Mela. Ma c’è anche chi timbra sette volte il cartellino! Trattasi dei presenzialisti, coloro che a metà settimana hanno già pronti armi e bagagli per la tappa successiva.

Maledetto cemento, penseranno in molti, dove arrivi e partenze non perdonano nulla e arrivano dritte alle articolazioni e maledetto il calore che dal basso fa eco ai raggi roventi calati dall’alto: hai voglia a mettere doppie calze, alla fine ne usciranno tutti coi piedi lessi.

Fin qui le spine, dopodiché le rose. Quel nitore dei rettangoli rifiniti da righe tanto larghe da incutere timore anche all’occhio di falco. E poi i rimbalzi, che dopo le bizzarrie di terra e erba, viaggiano senza esitazioni disegnando traiettorie precise e affidabili. Ci sarebbero infine tutte quelle banconote verdognole che, svolazzando come coriandoli di torneo in torneo, hanno un effetto placebo anche sui dolori muscolari.

Insomma, un tourbillon di situazioni ad alto voltaggio tra cui districarsi pur di trovare giuste sensazioni prima dell’assalto a Flushing Meadows.

Le stesse sensazioni che John Isner ha ritrovato in Atlanta centrando il torneo per la sesta volta. Ogni torneo è storia a sé ma i giocatori sono meccanismi strani, talora difficili da comprendere se in alcuni casi scatta quel quid che manda al posto giusto tutte le tessere del complicato mosaico. Nel mistero dell’abbondante adrenalina, l’americano ha messo tutti in fila servendo 100 ace tondi tondi e mostrando una accresciuta attitudine allo scambio.

E di special feelling si tratta anche per Jannik Sinner, trovato nella splendida vittoria maturata all’ombra della Casa Bianca. Un torneo scevro dai grandi nomi ma proprio per questo da cogliere al volo per mettere a punto il meglio del repertorio e portarsi avanti con la classifica. Cinque titoli per il giovane della Val Pusteria, tutti centrati sul duro segno inconfutabile di grande amore con questa superficie.

Un’oretta di volo e il circo della racchetta atterra in quel di Toronto, dove già da oggi si inizia a fare sul serio. Mancherà Djokovic che sicuramente partirà con Cincinnati centellinando forze preziose utili a tentare il grande poker. Gli altri ci sono tutti, tolto Federer il cui futuro è ormai una questione da dipanare tra sé e sé. Sicuramente, il cemento è roba troppo dura per le sue ginocchia e al momento non si intravede neanche nell’entry list del Western & Southern open.

Magari ci sorprenderà scendendo tra le righe della Grande Mela. Hai visto mai!