Roger è lontano dai campi ormai da molto, e in sua assenza sua e di Nadal Djokovic ha sfiorato il Grande Slam, rimediando un’amara delusione. Anche i campioni sono umani, accanto ai grandi trionfi vivono le loro debolezze, come tutti. Ma per l’appassionato c’è sempre la speranza per la speranza di vederli in campo ancora una volta, e non solo per un congedo più o meno triste.
Il paradosso di Novak
Lo so, non è facile continuare a scrivere su Roger in un periodo, ormai lungo, in cui gioca sempre meno, con ampie zone di totale assenza dai campi. E chissà se vi farà ritorno… Eppure anche il suo tramonto continua a fornirci spunti di meditazione. Non posso non collegarlo alla conclusione del nostro amico Qohelet: «Allontana la malinconia dal tuo cuore, tieni lontano il male dal tuo corpo, perché la giovinezza e i capelli neri sono un soffio … Prima che vengano i giorni cattivi e sopraggiungano gli anni in cui dirai: ‘Non ci provo più gusto!’». Tennisticamente parlando, i giorni cattivi sono venuti e il Re condivide questa sorte con Rafa e Nole.
Non era difficile prevederlo, ma ormai ci siamo. Il guerriero spagnolo è sempre più acciaccato e alterna alle battaglie in campo lunghe soste terapeutiche nella sua isola di Manacor (beato lui!). Ma soprattutto, e la cosa ci ha sorpresi, il declino riguarda ormai anche il robotico serbo. È cronaca, anzi storia, recente. Anche ai più distratti sarà capitato di vedere immagini di Nole sconfitto da Medvedev nella finale degli US Open, a un passo dal leggendario Grande Slam. Dopo anni passati a sentire dappertutto fischi e tifo contro di lui, usurpatore della diarchia svizzero-spagnola, proprio nel momento in cui il pubblico dell’arena più grande del mondo lo acclamava – anche in modo scorretto nei confronti del suo avversario –, ha ceduto. Sublime paradosso. E nel cambio di campo prima della sconfitta ha pianto disperato, nascondendo il volto sotto l’asciugamano, consapevole che mai più gli sarebbe capitata questa concomitanza unica: il Grande Slam e l’amore del pubblico, insieme. Troppa grazia! Tutto a portata di mano, nulla stretto tra le mani. Certo, lo abbiamo sentito dichiarare anche a parole la commozione per questo sostegno, ma il Grande Slam sarebbe stato per lui altra cosa, supponiamo…
Tentiamo una lettura antropologica, accompagnati dal Direttore: «Uno di quei giorni in cui i bilanci all’improvviso non quadrano, gli appuntamenti falliscono, lo spirito si ribella alla macchina che lo ospita. Mente e corpo sono più legati di quanto sospettiamo, e Novak lo sospetta meglio di chiunque altro; ma stavolta non ci ha potuto fare niente. Messo davanti alla storia, il suo ego ha grippato». E ancora: «Resta da capire che conseguenze avrà il trauma. Nel 2021 lo rivedremo di nuovo in campo? Quali altri obiettivi può immaginare, chi ha vinto tutto ma ha fallito, quasi certamente, l’occasione della vita?».
Goat o…. goat?
Forse l’obiettivo di ritornare umano, con le debolezze e i fallimenti che prima o poi ci toccano tutti, e ci affratellano. Non dico di arrivare a mettere in pratica le parole di San Paolo: «Quando sono debole, è allora che sono forte», sfida ai limiti dell’impossibile. Ma forse di accogliere senza più riserve le regole dell’esclusivissimo club “20-20-20”, che accoglie solo l’Immenso, Rafa e Nole, vincitori di altrettanti Slam (il 21 stava male, no? Anzi, anche in futuro evitiamo di mettercelo). Regole semplici, anche per il resto del mondo. Anzitutto gioire per quanto di straordinario e irripetibile fin qui si è fatto, comunque. Ancora Qohelet: «Se l’essere umano vivesse molti anni, in tutti gioisca e si ricordi che i giorni tenebrosi saranno molti: l’intero avvenire è un soffio!». Poi continuare a provare gusto in quello che ci spetta di compiere, giorno dopo giorno. Solo così si potranno illuminare anche le tenebre. Ancora, evitare di fare paragoni con gli altri: come nel tennis, anche nella vita non c’è un GOAT, e chi non lo capisce si trasforma in «goat», in capra…
Al cuor però non si comanda. E allora lasciatemi ancora la speranza di rivedere il Re in campo. In modo dignitoso, certo, per evitare di subire sconfitte umilianti da onesti badilanti della racchetta. Ma ancora per poco in campo, come solo lui sa fare, magari con possibilità di vederlo dal vivo. Per attraversare insieme la malinconia. Per accogliere l’alba che sempre segue ogni tramonto. Non sappiamo come sarà, ma confidiamo che il suo talento farà sì che anche la notte splenda come il giorno. Ha scritto un profeta biblico: «Il vostro amore è come nube del mattino, come rugiada che all’alba svanisce». No, il nostro amore per Roger non svanisce. Appuntamento dunque all’alba definitiva. Per gioire insieme, in modo divinamente umano, magari con la rugiada di lacrime luminose.