L’ennesimo successo di Sinner è una conferma delle qualità di insegnante sensibile ed esperto di Riccardo Piatti. Che ha saputo sia crescere giocatori dal nulla sia perfezionare campioni già affermati
La riconferma di Jannik Sinner in quel di Sofia, regala certezze al tennis italiano e inneggia alla continuità piuttosto che all’exploit. Una condizione mentale maturata a metà strada tra le qualità del giocatore e quelle del suo coach. Alla luce della splendida vittoria, tutti parleranno del ragazzo come di un predestinato e gli daranno del fenomeno. Tutto vero, ma sarebbe anche interessante guardare oltre lo steccato indagando sull’operato di quel padre putativo che in un processo di osmosi ha elaborato riflessioni sul dorato pupillo restituendoci un giocatore in forte ascesa, maturo per la sua età e animato da sana e umile esuberanza.
Di Riccardo Piatti avevo già detto di recente ricordandone i passaggi che l’hanno issato ad alti livelli per farne il coach che tutti conosciamo. Nell’articolo riassumevo le scelte che a suo tempo lo spinsero a lasciare la Fit per seguire con coerenza quattro ragazzi in cerca d’autore. Il demiurgo ebbe ragione da vendere, facendo di quei giovani volenterosi, tennisti di ottimo livello.
Risultati che hanno fatto letteratura nel modo nuovo di fare coaching e oggi, parlando di lui, risuona automatica la domanda un po’ sibillina tesa a definire l’effettivo valore di un coach. Un quesito da dipanare nel duplice dubbio se sia il giocatore a fare il coach o, viceversa, se sia il coach a fare il giocatore.
Azzardo la mia, a rischio smentita, dicendo che è il giocatore a fare il coach quando quest’ultimo si ritrova, per la dea bendata o per volere di un management, a far da guida a un giocatore di spicco che ne amplifica la figura. In questo caso, se il fortunato ha qualità di insegnante, l’esperienza si rivelerà un trampolino di lancio verso ingaggi più importanti. Nel caso contrario l’occasione sarà una tantum da vivere facendo più o meno scena muta durante gli allenamenti, prenotare campi di gioco e stappare tubi di palle, tutt’al più fornendo previsioni meteo per l’indomani. Qualcosa, insomma, da raccontare ai nipoti, magari infiorettando un po’.
Viceversa, è il coach a fare il giocatore quando l’insegnante è in grado di crescere futuri atleti brigando nelle loro caratteristiche per via di continue innovazioni ed elaborando dritte interessanti utili a coprire le tappe di maturazione.
Riccardo ha fatto tutto questo e anche di più! Non soltanto ha cresciuto campioni da zero come Furlan e Caratti ma si è imposto di rimanere ad alti livelli accompagnando ripetutamente giocatori già molto forti verso il loro massimo rendimento, così come ha fatto con Ljubicic, Raonic, Gasquet, Coric, tanto per citarne alcuni.
Oggi Piatti è al capitolo Sinner e, stringendo una vitarella qua e un’altra là, sta assemblando l’ennesimo meccanismo ad orologeria destinato a girare bene nel tennis che conta. La continuità del giovane atesino unita ai progressi sul servizio e agli eccellenti cambi di ritmo, tradiscono il lavoro certosino che il suo mentore sta portando avanti in ogni comparto del gioco. Il tutto sorretto da quel caratterino da sano montanaro che non offre il fianco a grandi debolezze e punta dritto al sodo. In perfetta sintonia con quel coach che in tanti anni ha mostrato anche di sapersi scegliere i cavalli da far correre pensando in grande ed evitando di allenare mezze figure tutto fumo e poco arrosto, che tra un lamento e l’altro, alla fine fanno perdere solo tempo.