INTERVISTA – Giocatore, sparring, manager ed opinionista. Mischa Zverev parla dell’ultimo anno passato sul tour e dell’esperienza alle Nitto ATP Finals di Torino
“Stiamo bene a Torino. Gli italiani hanno fame di tennis”
Passato agli onori della cronaca nazionale per uno spot sbagliato, Mischa Zverev ha preso parte alle Nitto ATP Finals, ma ha quantomeno passato la settimana a Torino. Sparring, manager e a volte coach, questi sono i ruoli che da buon fratello maggiore sta svolgendo il classe 1987, ex numero 25 del mondo. Ancora in attività il tedesco infatti ha diviso la propria stagione tra tornei, esperienze al fianco di Alexander ed il ruolo da opinionista ad Eurosport. Durante le giornate passate al Pala Alpitour Mischa è costantemente al fianco del fratello, del quale è stato praticamente unico sparring da inizio torneo. Dopo le sessioni di allenamento, il più grande degli Zverev ha ricevuto a sua volta attenzioni e ha assorbito il calore del pubblico italiano, come ha raccontato a IL Tennis Italiano.
Hai già passato un po’ di giorni a Torino, qual è il tuo bilancio? Non so se tu sia stato anche a Londra.
“No, non sono mai andato a Londra. Qui a Torino però sono stato accolto benissimo, amo l’Italia e mi piacciono gli italiani: direi che non mi poteva andare meglio. In campo Alexander si è qualificato per la semifinale e sta giocando molto bene. Ha perso contro Medvedev per 8-6 al tie-break del terzo, ma come il punteggio lascia intuire il match è stato molto combattuto ed il risultato è dipeso davvero da un paio di punti. L’atmosfera al Pala Alpitour è ottima, il pubblico è coinvolto, si fa sentire durante il match ed è bello giocare quando la risposta dagli spalti è buona. Il movimento italiano sta inoltre vivendo un grande momento, quindi la gente ha davvero fame di tennis”.
Alexander prima del torneo ha messo in chiaro che lui non è più un Next Gen, d’altronde è numero 3 del mondo. Del suo percorso di crescita c’è qualcosa che ti ha sorpreso particolarmente?
“Non c’è nulla che io non mi aspettassi Alexander potesse migliorare. Ho sempre avuto la sensazione che mio fratello potesse diventare uno dei migliori al mondo e l’ho sempre detto anche agli altri nel tour: quindi non sono sorpreso dal suo tennis. Ciò che mi ha impressionato però è il modo in cui adesso trova sempre soluzioni in campo, questo soprattutto quando è fuori tono gli permette di vincere comunque le partite. Questa è la conseguenza dei miglioramenti tecnici sul back e sulla discesa a rete, cose che mi fanno personalmente piacere considerando che il mio tennis è molto improntato sul serve and volley; quindi mi piacciono i giocatori che integrano queste componenti nel loro bagaglio”.
Quest’anno il successo simbolo della stagione di Alexander è quello all’Olimpiade. Hai l’impressione che non gli sia stato dato abbastanza credito?
Non sono andato a Tokyo con Alexander, ma per lui quella è la vittoria più importante della sua carriera. La cosa divertente sull’Olimpiade è che se non la vinci, ok vai avanti e ti prepari per gli altri tornei. Quando arrivi in semifinale e giochi per una medaglia, all’improvviso invece diventa tutto importantissimo e provi emozioni uniche: alla fine puoi vincere un’Olimpiade ogni quattro anni, mentre di slam ne puoi vincere quattro all’anno. Poi è sempre una settimana particolare, devi essere forte però ti serve anche fortuna. Si gioca in città dove solitamente non si fanno tornei grossi, quindi le carte in tavola cambiano sempre, anche per questo in passato ci sono state tante sorprese. L’atmosfera dei giochi è bella, i campioni sentono la pressione perché sanno che avranno poche occasioni in carriera per vincere quella medaglia”.
Giocatore, sparring, manager e quest’anno anche opinionista di Eurosport. Come ti sei diviso tra questi ruoli essendo ancora in attività?
“Mi diverto ancora a giocare a tennis, quest’anno purtroppo non l’ho fatto troppo ma nel 2022 sicuramente proverò a disputare più tornei. Sto facendo tante cose, con Alexander sono sempre disponibile. Siamo una famiglia e gestiamo tutto come tale, quindi faccio lo sparring o il coach quando serve. Gestisco inoltre la parte di management insieme a Sergej Bubka. Alla fine fare lo sparring di Alexander è qualcosa che mi tiene in allenamento, quindi non sono un giocatore che sta mollando, perché comunque Sascha è numero tre del mondo. Non sono il più giovane, ma neanche il più vecchio: Nole ha la mia età se ci pensi. Alla fine molto dipenderà dal tempo che troverò”.
Pensando al futuro ti vedi dunque con Alexander o l’esperienza fatta come opinionista può avere un seguito?
“In futuro non mi vedo come giornalista, però mi piace la tv ed intervenire in qualità di esperto come faccio ad Eurosport è una cosa che apprezzo. Sono felice di condividere la mia passione per questo sport, le informazioni che ho sul tennis e sulla vita nel tour. Allo stesso tempo però sono felice anche di aiutare Alexander con tutti i ruoli che gestisco. Tutte queste cose mi piacciono, non ho un piano concreto sul futuro, lo scopriremo vivendo”.
“La pubblicità della Rai? Un errore divertente”
Ad inizio settimana la Rai ha messo la tua foto nello spot del match tra Alexander e Matteo. Te lo hanno fatto vedere?
“Certo ho visto quella pubblicità, l’ho anche postata su Instagram dicendo ‘Mi sto preparando per il match’. Può succedere alla fine ed è stato divertente. Ormai sono conosciuto per diverse cose. Naturalmente c’è chi mi ricorda e mi conosce come tennis, solitamente questi apprezzano il mio stile di gioco perché diverso da quello di tanti altri giocatori. Poi c’è chi adesso mi conosce per quello che faccio ad Eurosport, mentre altri molto più semplicemente mi conoscono come il fratello di Alexander. La cosa non mi dà fastidio, sono sempre felice quando mi fermano non mi interessa il motivo. Alla fine del giorno noi amiamo il tennis, ma quello che facciamo è anche per il pubblico”.
A proposito di presa sugli spettatori, come vedi la transizione verso la quale ci stiamo gradualmente avviando?
“Secondo me Medvedev, Stefanos, Alexander ed i ragazzi come Rublev, Sinner e Alcaraz saranno le prossime superstar del tennis. Questo sport e ciò che lo circonda è cambiato rispetto a quindici anni fa. Prima non avevamo i social, adesso la gente vede i giocatori anche fuori dal campo e li vive di più. Questo cambierà tutto e naturalmente gioverà alla popolarità del tennis a livello globale”.
Hai parlato prima del tennis azzurro, posso chiederti un giudizio su Matteo e Jannik?
“Nella mia posizione non posso dire cose brutte di due giocatori forti come loro e non mi permetto dare consigli su cosa dovrebbero migliorare. Matteo come tutti sanno fonda il suo gioco su servizio e dritto, due colpi fortissimi. Negli ultimi 18 mesi ha però migliorato il rovescio, in particolare ha imparato a giocare un ottimo slice basso che dà fastidio agli avversari. Il suo tennis naturalmente dipende maggiormente dai colpi prima citati e per lui quindi è fondamentale essere il più fresco possibile. Negli slam questo è un fattore imprescindibile perché si gioca per due settimane al meglio dei cinque, se vedi Djokovic è molto bravo a dosare le energie in maniera intelligente”.
“Sinner non ha un grande servizio, però dritto e rovescio sono egualmente pericolosi. Colpisce molto forte la palla, ma non perché sia grosso o particolarmente potente; ma perché ha un’ottima tecnica ed un eccellente footwork: il suo timing è perfetto e sa come entrare sulla palla. Lui ecco può crescere sul piano fisico, aspetto fondamentale per l’evoluzione che questo sport sta avendo. Da una maggiore solidità fisica ne deriva poi anche quella mentale, perché vai in campo con più certezze. Sinner quindi deve provare a diventare un giocatore molto fisico. Negli slam le grandi partite sono lunghe e per vincerle devi essere stabile fisicamente, questa è una condizione difficile da raggiungere. Sotto questo punto di vista sia Matteo che Jannik miglioreranno, non vedo l’ora di vederli crescere e sono curioso di scoprire dove arriveranno. L’obiettivo ultimo di questi tennisti alla fine è vincere uno dei quattro slam e per riuscirci devi giocare un grande tennis e devi stare bene fisicamente. In 14 giorni sicuramente ci sarà sempre un giorno dove il giocatore non sarà in condizione di esprimersi al meglio e dovrà stare in campo 3 o 4 ore, lì il fattore fisico sarà determinante per proseguire la corsa”.