A 24 anni appena compiuti, Taylor Harry Fritz non gioca a tennis per intascare i premi dei tornei, né tantomeno per siglare qualche lucroso contratto con gli sponsor. Non ne ha bisogno: nasce ricco

A 24 anni appena compiuti, Taylor Harry Fritz non gioca a tennis per intascare i premi dei tornei, né tantomeno per siglare qualche lucroso contratto con gli sponsor. Non ne ha bisogno: nasce ricco. Sua madre Kathy May coniugata Fritz è pronipote di David May, ebreo tedesco emigrato da ragazzo negli Stati Uniti, che nel 1877 fonda la May Department Stores Co. a Leadville in Colorado, all’epoca trafficatissima capitale della corsa all’argento. È anche la nipote prediletta di Morton May che tra gli anni a cavallo della seconda guerra mondiale progetta e realizza l’espansione dell’azienda fino a farne la più popolare catena di grandi magazzini americana e intanto mette assieme una formidabile collezione d’arte. Infine, è figlia di David May II, di fatto numero uno del colosso commerciale negli anni Sessanta. Come brand, i grandi magazzini May s’estinguono nel 2006 con l’incorporazione nel gruppo Federated del quale fanno già parte Macy’s e Boomingdale’s. L’operazione pagata undici miliardi alimenta i rivoli di milioni di dollari diretti ai conti correnti dei membri della famiglia dotati di pacchetti azionari. Classe 1956, cresciuta a Beverly Hills in una magione con annesso campo da tennis dove si racconta abbiamo giocato Kirk Douglas e Billie Jean King, nel 1977 la futura mamma di Taylor è la numero 10 del ranking mondiale dopo aver raggiunto i quarti di finale al Roland Garros. Anche le sorelle Alysia (WTA 160 nel 1992) e Anita sono ottime tenniste. Kathy è rintracciabile negli archivi WTA anche con i cognomi dei primi mariti, Teacher – il Brian trionfatore degli Australian Open 1980 – e Paben, che di nome fa Don e di professione è un fireman, un pompiere. Il terzo consorte, Guy Henry Fritz, ATP 301 nel 1979, è un coach tuttora in attività (cercate su YouTube i suoi tutorial, ne vale la pena), a lungo a fianco di CoCo Vandeweghe e infine acceso sostenitore del talento del figliolo.

Taylor cresce con i genitori e i fratellastri Chris e Kyle Paben nella grande villa di Rancho Santa Fe, nei sobborghi di San Diego. Nei dintorni abitano il golfista Tiger Woods, il cantante Mike Love dei Beach Boys, gli attori Bill Murray e Arnold Schwarzenegger, l’erede al trono del Pavone Reza Pahlavi. Ovviamente, anche qui c’è un prato con un perfetto campo in sintetico dove allenarsi e invitare gli amichetti che giocano bene a tennis, come Liam Caruana, italiano classe 1998, approdato in California per gli impegni di lavoro del padre. Liam è oggi il numero 545 ATP, ma ha intenzione di dedicarsi a tempo pieno alla vendita di immobili a Austin nel Texas. Durante le Next Gen Finals milanesi del 2017, alle quali entrambi sono presenti, su Repubblica.it mi capita di scrivere che “il ragazzino romano, catapultato a San Diego a seguito di felici ricongiungenti familiari, si ritrovò proprio lì, a casa May, a sfidare Taylor”. In uno dei tornei nel parco, addirittura lo sconfigge sonoramente. Non succederà una seconda volta, perché l’amico Fritz diventa presto imbattibile, o quasi: appena adolescente fa suo il titolo della Californian Interscholastic Federation, nel 2014 si arrampica fino alla semifinale di Wimbledon Junior, quasi diciottenne nel 2015 perde il Roland Garros e si prende gli Us Open battendosi nelle finali contro il connazionale Tommy Paul, al quale è ancora legatissimo. A fine stagione è numero 1 del ranking giovanile mondiale. Nel 2016 l’ATP lo sceglie come Star of Tomorrow. Servizio da bombardiere (alto 193 centimetri, pesa 86 chili), ottimo rovescio a due mani, propensione all’attacco, sembra poter bruciare le tappe.

Oltre che ricco e forte, Taylor è bello di una bellezza datata. Assomiglia a divi e tycoon del passato come Clark Gable, Howard Hughes, Robert Taylor e Burt Reynolds, tutti da immaginare senza baffi. Fa strage di cuori. Nel 2016, prima ancora di compiere 19 anni sposa una tennista di buone speranze delle sue parti, Raquel Pedraza, alla quale chiede la mano davanti alla Torre Eiffel. Non dura: divorzia nel 2019 quando il loro unico figlio, Jordan, ha due anni. Adesso è fidanzato con la modella Morgan Riddle, versione americana di Chiara Ferragni, come lei seguitissima influencer su Instagram e TikTok. La primavera scorsa i due si fanno fotografare mano nella mano in piazza San Pietro, abbracciati davanti alla Barcaccia di piazza di Spagna, con lui a torso nudo all’entrata dell’hotel Giustiniano. Vacanze romane come quelle di Audrey Hepburn e Gregory Peck, settant’anni dopo e un po’ più trash.

Senza problemi economici e con un fascino alla Porfirio Rubirosa, Taylor è lucky, un tipo fortunato. Eppure tennisticamente è loser, un perdente, nonostante si possa permettere coach come David Nainkin e Paul Annacone. Da professionista s’arrende in quattro finali ATP (contro Kei Nishikori a Memphis nel 2016, Alex de Minaur ad Atlanta e Diego Schwartzman a Los Cabos nel 2019, Rafael Nadal ad Acapulco nel 2020) e vince un unico torneo, sull’erba di Eastbourne, nel 2019 (6-4 6-3 a spese di Sam Querrey). Non si spinge mai oltre il terzo turno in uno slam. Il 2021 non fa eccezione. A inizio giugno nel secondo turno del Roland Garros s’infortuna al ginocchio nel corso del match con il tedesco Dominik Koepfer. Lascia il campo su una sedia a rotelle e poi si sottopone a un piccolo intervento chirurgico. Qualcuno prevede una lunga convalescenza, invece a fine mese è già in campo. Fuori tabellone al secondo turno a Wimbledon, si ferma in semifinale a Los Cabos e ad Atlanta, poi inanella un rosario di risultati negativi a Toronto, Cincinnati e Flushing Meadows. Un esempio di discontinuità e, forse, scarsa determinazione.

Improvvisa, la versione finalmente vincente di Taylor sembra materializzarsi durante l’edizione fuori stagione del BNP Paribas Open di Indian Wells. È la sua sesta partecipazione al “quinto slam”, che ama perché da lì può raggiungere in poche ore di auto Rancho Santa Fe, dove vive mamma Kathy, ancora più rapidamente Beverly Hills e Rancho Palos Verdes, dove ora abita, o forse perché quand’era bambino papà Guy lo portava con sé nella città americana con il più alto reddito pro-capite: tutto sa di casa, insomma. Da testa di serie numero 31 del torneo, tra il 10 e il 15 ottobre manda fuori tabellone l’astro nascente Brandon Nakashima (6-3 6-4), poi il numero 7 ATP Matteo Berrettini (6-4 6-3), il 12 Jannik Sinner (6-4 6-3) e il 4 Alexander Zverev (4-6 6-3 7-6). Appare trasformato: autorevole negli scambi, micidiale al servizio, tasso di errore bassissimo, in grado di costruire i punti con intelligenza. Approda alla semifinale. È la sua prima grande occasione per mostrare di essere all’altezza dei pari età con i quali fino a quattro anni fa se la batteva da pari a pari, non solo con i numeri 1 d’Italia e Germania ma anche con Medvedev, Tsitsipas, Rublev, Ruud, Hurkacz, tutti ormai Top Ten (alla vigilia del torneo lui era 31 del ranking mondiale) e frequenti protagonisti delle fasi conclusive di major e Masters 1000. Invece cede malamente in due set (7-6 6-3) nel confronto con il georgiano Nikoloz Basilashvili, 29 anni, ATP 29. Niente finale e nemmeno la soddisfazione, come 28 ATP, di diventare numero 1 degli Stati Uniti: continuano a precederlo John Isner (26 ATP) e Reilly Opelka (27). Mai una gioia, Taylor.