Un tipo sornione, apparentemente pigro, da non dare mai per morto, il francese. Ecco i consigli ‘postumi’ a Berrettini, che servono a dimostrare che…. coach Santopadre aveva capito tutto

Lo so, non ne ha bisogno!Ma peccando di presunzione, prima di entrare in campo qualcosa a Matteo Berrettini l’avrei detta. Innanzitutto che oltre la rete ci sarebbe stato un avversario da interpretare nei modi più che nel gioco. A prima vista, Gae Monfils, non sembra un giocatore prorompente, un compulsivo alla Nadal, per intenderci o un propositivo alla Federer. Lui ama vestire i panni del gatto mammone, quello che talora gli garba, talora no che a volte ci crede altre volte meno. Un po’ il Romeo degli Aristogatti, quello che sprizza pigrizia da tutti i pori pur sentendosi ‘er mejo der Colosseo’. In realtà trattasi di un tipaccio con undici titoli in carriera, già numero sei del mondo ed due semi negli slam. Insomma, un micio sornione che se gli dai un dito si prende tutto il resto e affonda la zampata. Un soggetto che ama fare il moribondo, uno che, tra un punto e l’altro, ama trascinare per il campo membra da stanco guerriero per riaccendersi più arzillo che mai non appena la palla torna a saltellare qua e là per il campo. E’ a quel punto che risorge al pari di un atleta di prim’ordine capace di raggiungere ogni angolo del campo, un giocatore che pur trovando conforto nelle retrovie, non disdegna fasi offensive di sorprendente aggressività. E avrei detto a Berretto che il francese dà il meglio di sé nei cambi di campo, quando gradisce sprofondare in una sedia piazzata sotto l’arbitro, sorseggiando il necessario per non restare a secco e asciugandosi dita da pianista mentre sprizza sguardi fuorvianti persi nel nulla. Avrei detto che una volta seduto nessuno al mondo capirebbe se il marcantonio di colore si rialzerà o meno. Bene, avrei volentieri allarmato Matteo che in realtà il parigino si sarebbe rialzato e che quatto quatto avrebbe organizzato il suo bel trappolone con l’aria dimesso spingendo il rivale ad abbassare inconsapevolmente la guardia in attesa di passargli sopra. Avrei dunque confessato a Berrettini che il micetto dei lungosenna, occhio a terra e spalle avanti, ha sempre birra in corpo sufficiente a vendere cara la pelle. E tracimando arroganza, avrei suggerito al nostro eroe quattro punti per dipanare la faccenda: ignorare il linguaggio del corpo truffaldino, non esagerare con lo sfondamento da dietro ma spezzare il gioco, andare a rete soprattutto in controtempo. Dopo un’ apertura del campo abbondante, giacché il transalpino si picca, a ragione, di essere un passatore coi fiocchi. Il resto sarebbe stato a carico del servizio!

In coda a tutto non mi sarei astenuto dal mettere Matteo sul chi va là circa un aspetto non trascurabile: visto il soggetto, il match sarebbe stato da considerarsi chiuso soltanto a stretta di mano avvenuta!

Che dire? Pur senza i miei presunti moniti, pare che tutto sia andato secondo copione. Cinque set in cui il nostro eroe ha navigato a vista da perfetto uomo di mare approdando con maestria a una semi in terra d’Australia, segno inconfondibile che il sapiente Santopadre aveva già tracciato la rotta giusta mostrando di saperla assai più lunga di me.