Nella sfida tra varie filosofie di gioco, un’analisi dei quattro semifinalisti che si affronteranno nella prima mattinata di venerdì

“C’erano un tedesco, un russo e un italiano”… Poi scappa fuori che c’è anche un serbo e il lato comico della faccenda finisce al collasso. Il quarto incomodo risponde al nome di Novak Djokovic, primo semifinalista a Melbourne 2024, saltuariamente residente in Belgrado, col vizietto di uscire campione dallo slam australiano. Un brutto pesce, avviato in porto anche in questa edizione col piglio giusto, un tipaccio che l’Italia proverà a fermare con il miglior Sinner possibile, giunto, anche lui, nel ristretto novero delle semi senza perdere un set. Un buon segnale per quel rivale della porta accanto che lungo il suo cammino di set ne ha lasciati invece tre.

Tra i due tutto è sospeso alla Davis di Malaga, più esattamente ai tre match point annullati al serbo dal giovane italiano con una prova di coraggio valsa al Bel Paese la finale e la Coppa nuovo formato. Insomma un eroe dei giorni nostri l’atesino, il cui tennis, nato con l’impronta basica del raziocinio cartesiano, si è lasciato andare di recente a più ampie riflessioni tattiche, a liberi pensieri degni di Giordano Bruno.
Sicuramente diversi da quelli troppo ingessati di un Djoker che comunque una volta in campo non lascia nulla al caso e resta il vincente senza macchia che tutti sappiamo. Un tipo che Thomas Hobbes, filosofo inglese del ‘600, avrebbe descritto come “nato agonista e lupo di un altro uomo”. Insomma il perfetto competitor per una guerra ‘tutti contro tutti’ che premia solo il più forte.


La stessa guerra in cui nella parte bassa del tabellone, Alex Zverev cerca riscatto dopo che il grave infortunio parigino del ’22 l’aveva tenuto a lungo fuori dai giochi. Oggi che la caviglia è tornata al suo mestiere, nel biondo amburghese va maturando uno stile di gioco ispirarato al razionalismo di Spinoza, ricco di ragionamento ma ancora povero di fatalismo. A credito con la sorte, il tedesco è pervenuto nella lontana Oceania a caccia di rivincite, sebbene oltre la rete gli sia toccato in sorte Daniil Medvedev, anche lui intenzionato a fare bottino nello stesso torneo. Fosse nato a fine ottocento, il russo sarebbe entrato tra le grazie di Nietzsche per quel suo tennis esistenzialista unto di sano nichilismo. Nelle movenze del moscovita il pensatore tedesco avrebbe rintracciato quella gestualità disobbediente che esula dall’idea stereotipata di tecnica per andare verso colpi figli di quelle qualità adattive che del terzo millennio fanno la differenza.


Diversamente uguali, tra i quattro protagonisti di queste semi downunder non c’è spazio per i classicismi cari ai puristi della racchetta ma si fa largo quella naturalezza che esalta uno sport di situazione come il tennis. E allora, tornando a bomba, domani in giornata potremo dire che “C’erano un giorno tizio e caio…!” Mancheranno all’appello Sempronio e Giovanni, giacché, in fondo in fondo, prevarrà la verità nuda e cruda che anima da sempre questo sport: uno vince l’altro perde, con buona pace di chi ama il nudo gesto e di chi serba in seno preferenze per il crudo rendimento.