Non è vero che i britannici hanno dovuto aspettare 77 anni per vincere Wimbledon. Nel 1977 Virginia Wade commosse un paese intero vincendo il singolare femminile.
Virginia Wade solleva il Venus Rosewater Dish dopo il successo nel 1977
Di Riccardo Bisti – 10 luglio 2013
L’abbiamo letto ovunque. Giornali, siti, riviste di tutto il mondo. Un britannico non trionfava a Wimbledon da 77 anni. Hanno contato i mesi, i giorni, le ore…77 come la gambe delle donne nella smorfia napoletana. E proprio una donna ci ricorda che non è proprio così. Ricordare continuamente il successo di Fred Perry è stata una mancanza di rispetto verso Virginia Wade, meravigliosa vincitrice del singolare femminile nel 1977 (i casi della vita: c’è sempre il 77 di mezzo…). Fu un’edizione speciale: non solo ricorreva il centenario dalla prima edizione di Wimbledon, ma fu anche l’anno dell’ultima visita della Regina Elisabetta, prima che nel 2010 tornasse a farsi vedere a Church Road. Il trionfo di Virginia Wade non può essere dimenticato e nemmeno liquidato, perchè fu un vero e proprio fenomeno di costume. In quel magico 1977, che tra gli uomini segnò il secondo successo di Bjorn Borg, la Wade si presentò con due Slam in bacheca e un discreto background, anche se non era mai andata oltre le semifinali. E proprio al penultimo round azzeccò l’impresa, battendo in tre set la numero 1 Chris Evert. Aveva quasi 32 anni e all’ultimo atto trovò l’olandese Betty Stove nella finale più “anziana” dal 1913. Vincendo 4-6 6-3 6-1, la Wade divenne la quarta donna britannica a vincere a Wimbledon nei secondi 50 anni di storia del torneo (nei primi 50 c’erano state diverse vincitrici indigene, ma la partecipazione straniera era ridotta all’osso).
Quest’anno abbiamo assistito a scene di giubilo eccezionali, forse esagerate, per il successo di Andy Murray. Il Premier David Cameron è arrivato a dire che meriterebbe il titolo di baronetto. Ma anche allora la gioia fu immensa. L’unica differenza è che all’epoca non c’era internet e le informazioni circolavano più lentamente. Il giorno dopo, persino un giornale della provincia americana come il Milwaukee Sentinel accolse con giubilo il successo della Wade, capace di vincere il suo primo Wimbledon “A 31 anni, davanti alla Regina Elisabetta e a una folla festante e selvaggiamente contenta”. La sera prima della finale, centinaia di spettatori avevano dormito nei marciapiedi per assicurarsi un posto in tribuna. Dal punto di vista tecnico, Wimbledon ha visto finali migliori. Ma nessuna fu vissuta così emotivamente dal pubblico, nemmeno Djokovic-Murray. La presenza della Regina diede un senso di sacralità all’evento. Per la gente era un segno del destino che una tennista inglese vincesse nell’anno del centenario, peraltro nel corso del Giubileo d'argento della Regina. Sul Centre Court sventolavano le Union Jack, la gente urlava e cantava “For She’s a Jolly Good Fellow” mentre Virginia sollevava, con un sorriso dolce e pulito, il Venus Rosewater Dish. La Regina non veniva a Wimbledon da 15 anni. Non è mai stata una grande appassionata di tennis (lo testimonia il fatto che non era alla finale di quest’anno), ma durante il torneo c’era la diffusa sensazione che Virginia Wade avrebbe potuto fare il miracolo di avvicinarla al tennis. E così fu: vestita di bianco e rosa, scese in campo per premiare la vincitrice. Per rivederla sui sacri prati di Church Road, avremmo dovuto aspettare altri 33 anni. Fu un vero e proprio miracolo.
Al pari di Murray, la Wade ha mostrato quel mix di aplomb, emotività e sfacciataggine tipica dei britannici. Nel dircorso di ringraziamento, disse: “Stasera non voglio ubriacarmi. Sono già ubriaca senza aver bevuto un goccio d’alcol”. Anni dopo, ha confessato di aver scambiato quattro parole con la Regina al momento della consegna del trofeo “Ma non ero nelle condizioni di formulare un discorso di senso compiuto”. Quel successo mise in un angolo il suo atteggiamento sempre composto, quasi modesto. Come per Murray, anche la Wade fu oggetto di critiche per non essere un’inglese purosangue. Andy è scozzese ed è fiero di esserlo, mentre Virginia aveva la doppia nazionalità. Aveva un’appartamento a New York e giocava il World Team Tennis con i New York Apples. Tuttavia, le inchieste giornalistiche dell’epoca certificarono le sue origini: suo padre era un Arcidiacono di Durban, e lei si era laureata in matematica presso la Sussex University. “Virginia è britannica fino al midollo – scrissero – e di sicuro si trova più a suo agio nel bere una tazza di tè presso l’All England Club piuttosto che un bicchiere di vino in un caffè di New York”. Il 1 luglio 1977, si realizzò una favola. 36 anni dopo, la storia d’amore tra Wimbledon e il tennis britannico ha avuto un altro lieto fine. Tanto il numero 77 è comunque coinvolto.
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