Monica Puig completa una delle più grandi sorprese nella storia del tennis: da numero 34 del mondo conquista la medaglia d’oro a Rio de Janeiro, la prima di Porto Rico ai Giochi Olimpici. La favola perfetta per rafforzare il legame fra tennis e Olimpiadi è diventata realtà in un match stupendo contro la favoritissima Angelique Kerber, domata con oltre 50 vincenti.

Chi, dopo aver assistito a una delle storie di sport più belle degli ultimi anni, ancora sostiene che tennis e Olimpiadi abbiano poco a che vedere, si faccia da parte. Perché è impossibile non ricredersi di fronte a ciò che ha combinato Monica Puig: una che a certi livelli non ci era arrivata mai neanche da ospite, che per una settimana ha mostrato di saperci stare meglio di tutte le altre, fino a mettersi al collo una medaglia d’oro Olimpica. La sua medaglia d’oro. Ma anche quella di tutto lo stato di Porto Rico, che mai ne aveva vista una in quasi 70 anni di storia ai Giochi Olimpici, e per una sera si è trovato incollato alla tv a tifare allo sfinimento per la sua eroina inattesa, diventata leggenda dopo il successo per 6-4 4-6 6-1 sulla numero 2 del mondo Angelique Kerber. Una di quelle imprese che – e non c’è retorica, stavolta no – solo le Olimpiadi possono regalare. È il potere dei Cinque Cerchi: in Italia tutti a improvvisarsi esperti di tiro con l’arco e skeet, a Porto Rico (e anche sulle tribune dell’Olympic Tennis Centre) tutti avvolti nelle bandiere per sostenere la loro nuova stella, che si chiama Monica in onore della Seles, e oggi ha eguagliato il suo modello Jennifer Capriati, oro a Barcellona ’92. L’anno dopo è nata lei, una che fino a qualche giorno fa a Porto Rico in tanti neanche conoscevano, e che pratica uno sport che nel paese non vanta nessun altro giocatore nelle classifiche mondiali ATP e WTA, ma ha saputo unire tutti e portare “uno stato – a detta sua – spesso tristemente noto” alla ribalta per qualcosa di estremamente positivo. E pensare che la Puig poteva giocare per gli Stati Uniti, sfruttando il doppio passaporto, invece ha tenuto duro alle avance della USTA, difendendo le sue origini senza esitazioni a differenza di illustri connazionali del passato come Gigi Fernandez e Charlie Pasarell. E oggi il suo oro vale il doppio: avesse vinto da statunitense sarebbe una qualsiasi, invece ha regalato a Porto Rico un momento senza precedenti. Fino a ieri non esisteva giocatore che desse più importanza a una medaglia olimpica che a un titolo Slam, da oggi c’è lei, che di campionesse Slam ne ha fatte fuori tre in sei incontri, confermando l’imprevedibilità di un tennis femminile molto più aperto rispetto al maschile (e non è necessariamente un male).

IL MODO PIÙ BELLO PER ENTRARE NELLA STORIA
Dopo le imprese contro Muguruza e Kvitova, la Puig è stata ancora più brava in finale, perché per battere la Kerber non le bastava fare a pallate sperando di averla vinta, serviva qualcosa in più. Un qualcosa che ha tirato fuori nelle fasi calde di un match di alto livello, un continuo spingersi verso il limite che ha dato ragione a chi ne aveva di più. E averne più della Kerber è già una piccola impresa. La superiorità della portoricana è emersa alla grande nel terzo set, dopo un primo giocato meglio e un secondo in cui la mancina di Brema ha capito che avrebbe dovuto rischiare qualcosa in più, ed è stata furba a spezzare il ritmo con un toilet break di oltre 5 minuti, dopo un breve trattamento alla schiena. La Puig avrebbe comunque potuto farcela in due, invece ha perso due game apertissimi dal 4-4, ma col senno di poi è stato meglio così. Perché un terzo set che partiva con l’inerzia dalla parte della Kerber l’ha vista salire in cattedra e trasformarsi in un martello pneumatico. Ha messo all’angolo la tedesca a suon di pallate, facendo magie col rovescio incrociato, e ha retto benissimo anche gli scambi più lunghi, diventando padrona del campo. Game dopo game è salita fino al 5-0, costruendo un tesoretto sufficiente per contenere la reazione finale di “Angie”. La regina degli Australian Open le ha salvato un primo match-point nel sesto game, e poi altri due in un settimo che se perso avrebbe richiesto da solo una seduta dallo psicanalista. In un clima infuocato dai tifosi portoricani, richiamati dalla giudice di sedia prima di ogni punto, a dare una mano alla Kerber è arrivato anche un nastro vincente, che ha cancellato da solo il terzo “Gold Medal Point”, come da grafica della regia internazionale. Ma la Puig era in completa trance agonistica, non ci ha nemmeno fatto caso, non le è neanche tremato il braccio. Con l’ennesimo winner di rovescio si è presa un altro match-point: ha tirato un bel respiro, servito una seconda carica, si è difesa bene sulla risposta della Kerber e poi è esplosa dopo l’ultimo errore della tedesca. Il resto è stato tutto automatico: mani sul viso, lacrime in ginocchio sul campo, la bandiera portoricana e una gioia difficile da descrivere.

UN ORO SENZA PUNTI, MA DAL VALORE INESTIMABILE
Sul gradino più alto del podio, mentre l’inno portoricano suonava per la prima volta ai Giochi, la 22enne di San Juan teneva in mano l’oro come non fosse suo, con gli occhi ancora pieni delle lacrime di chi non si riesce a capacitare di ciò che ha combinato negli ultimi nove giorni, regalando ai libri del tennis (e non solo) una favola destinata a durare per sempre. La storia di quell’isola caraibica dove andavano forte solo basket, baseball e pugilato, e che aveva un’unica giocatrice di tennis. Ma per una volta riuscì comunque a guardare tutti dall’alto. Il tennis Olimpico non poteva chiedere di meglio: per Serena Williams l’oro sarebbe stato una vittoria di routine, per la Muguruza o la Kerber una tappa di passaggio verso (forse) la leadership nella classifica WTA, mentre per la Puig è molto, moltissimo di più. Ciò che ha messo in scena a Rio è uno di quei capitoli che al legame fra tennis e Olimpiadi servono come il pane. Una di quelle imprese imbevute di spirito Olimpico, di quel fuoco che arde fino a compiere miracoli. Come quello di portare una giocatrice mai entrata fra le prime 30 del mondo, capace prima di mettere piede in Brasile di battere una sola top-10, di vincere un solo WTA International e di raggiungere solo una volta gli ottavi di finale in un torneo del Grande Slam, a mettere in fila una via l’altra tutte le migliori e diventare per una volta la regina del tennis. E il fatto che un torneo vinto in questo modo non le dia nemmeno un punto aggiunge fascino alla sua impresa, perché dovrà confermarla ripartendo veramente da zero. O dal numero 34 WTA, ancora lontana da quelle prime 20 alle quali puntava già tre anni fa, dopo essersi appena fatta conoscere al grande pubblico grazie alla seconda settimana a Wimbledon. Si sentiva già pronta, invece ha dovuto fare i conti con tutte le difficoltà del Tour, dove vanno messi al loro posto un sacco di pezzi, e non è comunque detto che il puzzle si completi. Ma le sue ambizioni non sono mai calate, neanche quando i risultati non le davano retta, e alla fine ha avuto ragione lei. Tenendo il colpo in canna per spararlo al momento giusto, quando la porta da sfondare era quella che porta dritto verso l’Olimpo dello sport.

TORNEO OLIMPICO RIO DE JANEIRO – Finale singolare femminile
Monica Puig (PUR) b. Angelique Kerber (GER) 6-4 4-6 6-1

Finale per la medaglia di bronzo
Petra Kvitova (CZE) b. Madison Keys (USA) 7-5 2-6 6-2