Nel 1968 il tennis fu aperto ai professionisti. Tuttavia, l'anno prima ci fu un'edizione sperimentale di Wimbledon per celebrare la nascita delle trasmissioni a colori BBC. Vinse Rod Laver in finale su Ken Rosewall e un giornalista del Guardian scrisse: “Dopo la margarina, abbiamo finalmente assaporato il burro”. I tempi per l'Era Open erano ormai maturi.

L'anno prossimo si celebreranno i 50 anni dell'Era Open. Fu il torneo di Bournemouth, nel 1968, ad aprire il tennis ai professionisti. Un passaggio storico per il tennis, che fino all'anno prima viveva dell'ipocrita distinzione con i dilettanti (i quali, però, incassavano sostanziosi premi sottobanco). L'apertura ai professionisti ha restituito i più grandi campioni ai più grandi tornei. Tuttavia, l'anno prima ci fu una sostanziosa anteprima in occasione di Wimbledon. Dal 25 al 28 agosto 1967, infatti, si giocò un'inedita edizione di Wimbledon “Pro” per celebrare l'avvento della TV a colori. Se il torneo “classico” era andato a John Newcombe (vedi video qui sotto), un mese dopo si ritrovarono alcuni dei migliori giocatori dell'epoca su iniziativa di Herman David, storico presidente dell'All England Club. In finale, manco a dirlo, si ritrovarono Rod Laver e Ken Rosewall. Non solo erano i più forti, ma anche quelli maggiormente penalizzati dalla separazione tra professionisti e amatori. Laver passò professionista dopo lo Slam del 1962, perdendo la bellezza di venti Major. Incredibilmente, Rosewall ne ha saltati ben 44. “Un evento a otto giocatori non sembrava così importante – ricorda Rosewall, 82 anni, ai microfoni del New York Timesma penso che sia stato molto utile per aprire il torneo ai professionisti l'anno successivo”. La finale si giocò di lunedì e il premio per il vincitore ammontava a 8.400 dollari, uno scherzo se paragonato ai montepremi di oggi. L'enorme affluenza di pubblico fece capire in che direzione sarebbe andato il tennis. “Eravamo una piccola parte di un ingranaggio che aveva già deciso cosa fare di Wimbledon – dice Laver – siamo stati orgogliosi di farne parte. Nessuno di noi pensava che l'anno dopo il tennis sarebbe diventato Open, forse soltanto Herman David”. Il campo di partecipazione era completato da Pancho Gonzales, Lew Hoad, Fred Stolle, Andres Gimeno, Butch Buchholz e Dennis Ralston. Va detto che Gonzales aveva 39 anni (ma un paio d'anni dopo avrebbe trovato il modo di entrare nella storia del torneo, giocando lo storico match contro Charlie Pasarell). Anche Lew Hoad non era quello di dieci anni prima. Proprio loro due sono gli unici due giocatori non più viventi: Hoad è scomparso nel 1994, ad appena 59 anni. L'anno dopo si è spento anche Gonzales.

UN PASSAGGIO DECISIVO
Ma se Hoad aveva vinto un paio di Championships prima di passare professionista, Gonzales non ce l'ha mai fatta. Il suo miglior risultato resta il quarto turno del 1949. La beffa più grande risale al 1960, quando la Federazione Internazionale espresse parere negativo sull'avvento del tennis open, ritardando di otto anno l'avvento dei professionisti. Il torneo del 1967 prevedeva match al meglio dei tre set fino alla finale. Hoad vinse un match straordinario contro Gonzalez (3-6 11-9 8-6) ma pagò la stanchezza in semifinale, cedendo 6-2 6-3 a Ken Rosewall. Nell'altra semifinale, Rod Laver superò con agio Andres Gimeno (che qualche anno dopo si sarebbe tolto la soddisfazione di vincere il Roland Garros quasi fuori tempo massimo). Per lui era la prima volta a Wimbledon dopo il successo del 1962. “Per cinque anni non avevo messo piede al torneo. Molta gente pensava che i professionisti non avessero lo standard dei dilettanti, ma noi sapevamo che non era così". Alla fine vinse proprio “Rocket”, battendo Rosewall in una delle loro 158 sfide (finì 6-2 6-2 12-10), davanti a 12.000 spettatori entusiasti, molto più della finale di due mesi prima tra John Newcombe e lo sconosciuto Wilhelm Bungert. Ormai il dato era tratto. David Gray, giornalista del Guardian, scrisse un passaggio che era una sentenza. “Dopo esserci abituati alla margarina, è stato buono ricordarci il sapore del burro”. L'anno dopo sarebbe cambiato tutto. Il processo verso il professionismo era ormai ineluttabile, ma quel torneo di 50 anni fa diede uno slancio decisivo, con i professionisti per la prima volta ammessi nel luogo più sacro del tennis.