La certezza Djokovic, l’incognita Nadal, la folta squadra statunitense e quella italiana, capeggiata da Jannik Sinner: questo e molto altro nella nuova stagione di tennis

Il futuro sottrae alla vista presunte certezze per offrire il fianco a incognite con le quali solo fattucchiere imbellettate e astrologi mattacchioni osano millantare calda familiarità. Più facile, per noi imbevuti di realtà, è volgere lo sguardo al passato, meglio se recente, che i dubbi li ha già dipanati tutti e si schiera al mondo senza trucchi e senza inganni.

Così, stringendo a gelatina il brodo di un anno ormai agli sgoccioli, affiora che la Davis in formato ridotto è andata al Bel Paese e che, per la quarta volta, Djokovic ha compiuto tre quarti di slam offrendosi come uomo da battere a dispetto di copiosa gioventù che intorno a lui si agita in cerca di gloria.

Ciò non toglie che l’anno alle porte possa accendere sani dualismi tra ventenni o giù di lì, qualcosa in cui Sinner, Alcaraz e Rune potrebbero avere un prestigioso ruolo in commedia così come intrigante si profila il confronto tra Medvedev e Rublev, il primo con più possibilità di primeggiare. Senza contare i nuovi in arrivo, soggetti come il serbo Hamad Medjedovic e il francese Arthur Fils che alle Next Gen Finals di Gedda sono stati promossi a soggetti pericolosi anche nel circuito più alto.

E per cotanta giovinezza che del nuovo anno vorrà fare bottino, il 2024 sarà chiamato a pronunciarsi anche sull’atteso ritorno di Rafael Nadal. Un tentativo di rientro con fitte incognite al seguito. Ce la farà? Non ce la farà? Inseguirà la palla con le solite le movenze da guerriero o massacrerà le membra fino in fondo senza badare a spese? Di certo, lo spagnolo ha segnato un’epoca e quando sarà il momento, lascerà nel popolo racchettaro immagini di gesta irripetibili e nulla sarà come prima.

Questo il quadro di un futuro neanche troppo lontano. Il resto passa per una sfilza lunghissima di logaritmi, valori asettici che in modo neutrale forniscono fredde graduatorie che se ne sbattono se Tizio non ha dormito o Caio ha male al pancino. Esse si nutrono di numeri e non sentono ragione. Gli stessi numeri che sotto gli occhi di tutti rimandano a un possibile cambio generazionale pronto a compiersi del tutto non appena il cannibale di Belgrado penserà di mollare l’osso. Fino ad allora ogni avvicendamento dovrà mettersi comodo seppure, già in terra d’Oceania potremmo farci un’idea migliore dei valori in campo. Per adesso, il Djoker svetta solitario! Tremila punti più in basso, Alcaraz, Medvedev e Sinner si propongono come vincitori in pectore di tornei slam mentre più in basso il resto dei top ten sogna un major anche se difficilmente andrà oltre un Masters 1000.

Quanto ad abbondanza, gli Usa sembrano essere in salute vantando elementi come Shelton, Paul e Tiafoe, capeggiati da un Taylor Fritz che tuttavia potrebbe perdere la leadership sul resto della truppa.

Anche il nostro di tennis non scherza e dietro ai davismen consacrati campioni, già si delineano figure come Cobolli, Nardi e Darderi, tennisti anch’essi del terzo millennio, unti di gioventù e sana ambizione.

Un’occhiata finale racconta infine che i primi 10 del mondo sono frutto di otto paesi diversi, a riprova del fatto che il tennis moderno è sempre più globale e che i giocatori non sono necessariamente frutto di un movimento nazionale ma possono godere di allenamenti sofisticati in tutto il mondo. Un fenomeno che ha fatto lievitare il livello medio e acuito quello di vertice. Paesi come la Grecia di Tsitsipas piuttosto che la Norvegia di Ruud, della Finlandia di Ruusuvuori o la Danimarca di Rune, non hanno alle spalle maree immense di tennisti da cui selezionare futuri campioni ma godono di modelli formativi diffusi in tutto il pianeta che offrono stese possibilità di riuscita.

Chiudo dicendo che stando così le cose, di qui in avanti possiamo aspettarci di tutto e di più e che, rimettendo tutti ai blocchi di partenza, anche la classifica Race potrebbe acquisire maggiore importanza raccontando, già dal primo trimestre, una storia diversa da quella più conclamata della Emirates.

Con l’anno che verrà, dunque, le uniche certezze riguardano un calendario fissato in 63 tornei divisi tra indoor e outdoor, assortiti tra terra, erba e cemento. Per il resto, il campo avrà ancora forma rettangolare, limitato da ciniche righe che tanti dispiaceri danno a tennisti d’ogni sorta fin dai tempi che Berta filava. Nel tennis che sarà, inoltre, ritroveremo la Davis nuova edizione, lo short game delle Next Gen Finals e le corse al bagno a tempo debito. Queste a altre diavolerie additate dai puristi del tennis che fu come esperimenti degni del Dottor Mabuse.