L'INTERVISTA – Mostrando un'insolita maturità per un 18enne, Matteo Berrettini ha raccontato la sua vita, fra Serie A1, Grand Slam junior e ambizioni future. Dal 2015 tenterà di sfondare tra i 'pro'. "I top 100? Alla mia portata"
Di Marco Caldara – 30 novembre 2014
Maturità. Parlando con Matteo Berrettini, giovane promessa del Circolo Canottieri Aniene, la si percepisce a più riprese, in tutte le sue sfaccettature. Una qualità comune a pochi diciottenni, ma che non sorprende in un ragazzo cresciuto sotto la guida di un coach serio e capace come Vincenzo Santopadre. Oggi i due sono compagni di squadra nel club capitolino, che si prepara alla finale scudetto del 7 e 8 dicembre. Dovessero centrare il tricolore, una buona fetta del merito spetterà proprio a Berrettini, capace di regalare punti pesantissimi ai suoi. Ha iniziato a giocare a tennis a 7 anni seguendo le orme del fratello minore Jacopo, più giovane di due anni, e a 14 si è spostato in riva all’Aniene per provare a diventare un giocatore. Quest’anno, dall’alto dei suoi 193 centimetri, ha capito di potercela fare per davvero. Fra i ‘pro’ ha giocato pochissimo, ma in compenso si è qualificato in tutti i quattro tornei giovanili del Grande Slam, respirando l’aria del tennis che conta. Una scelta in controtendenza con la massa, ma che potrebbe rivelarsi vincente. Dopotutto nel tennis ormai si emerge tardi, iniziare prestissimo può diventare un’arma a doppio taglio. Lui ci proverà dal 2015, una stagione fondamentale. Dietro ai banchi di scuola andrà a prendersi la maturità scientifica, mentre con la racchetta in mano cercherà di far valere quella che ha già nella vita di tutti i giorni, forte dell’esperienza accumulata in un campionato da ricordare. Ha vinto tutti i suoi otto singolari, e si è preso il lusso di battere (seppur in doppio) il numero uno d’Italia Fabio Fognini. Ci abbiamo scambiato quattro chiacchiere, scoprendo un giovane dal futuro interessante e anche un grande appassionato di Serie A1. La gioca da soli tre anni, ma conosce a memoria anche i risultati delle stagioni precedenti. Visto quanto sta ricevendo dalla competizione, non poteva essere altrimenti…
Quando hai capito che il tennis sarebbe potuto diventare la tua vita?
È sempre stato il mio desiderio, quindi l’idea ce l’ho da tempo. La consapevolezza invece è arrivata negli ultimi due anni, quando ho iniziato a giocare i primi match importanti, come i tornei del Grande Slam juniores. Ho iniziato senza sapere bene cosa aspettarmi, ma sono riuscito a destreggiarmi abbastanza bene. Ho capito che i migliori giocatori del mondo della mia età non erano così lontani.
Sul tuo profilo nel sito Itf si legge che la tua superficie preferita è il cemento: curioso per un italiano. Come mai?
Va detto che tennisticamente sono nato e cresciuto sulla terra, e al cemento mi sono avvicinato solo da un paio d’anni. Mi piace perché credo sia la superficie che esalta di più le mie caratteristiche, principalmente servizio e diritto. Poi non è che io veda la terra come un incubo, mi ci trovo bene lo stesso e sono sempre stato abituato a giocarci, ma se posso scegliere scelgo il veloce.
Hai 18 anni e stai provando a emergere. C'è un giocatore a cui ti ispiri?
Il mio idolo è da sempre Roger Federer, ma non ci si può ispirare a un giocatore come lui: troppa classe tutta insieme non si è mai vista. Io cerco di essere un giocatore aggressivo, che appena può cerca di chiudere il punto a rete. Sono piuttosto alto, nel mio tennis sarà fondamentale il servizio. Dire che mi piacerebbe diventare come Raonic è troppo, ma vorrei essere un giocatore dal tennis simile. Probabilmente non servirò mai come lui, ma sul servizio stiamo lavorando molto, cercando di perfezionare movimento e lancio di palla. È un colpo fondamentale, l’unico in cui si parte da fermi, dipende solo da sé stessi. Non è una rimessa in gioco, bisogna cercare subito il punto diretto.
Hai già 18 anni, ma hai giocato pochissimo a livello ‘pro’. Come mai la scelta di prediligere i tornei juniores?
L’obiettivo di questa stagione era di giocare tutti i quattro Slam under 18, e ci sono riuscito. Per farlo ero obbligato a fare attività juniores, per mantenere una classifica che mi permettesse almeno di entrare nelle qualificazioni. Nel 2013 sono salito da una posizione vicina al 1000 fino a 120, e quest’anno sono arrivato a ridosso dei top 50, non mi andava di passare ai Futures senza disputare gli Slam. Molti ragazzi iniziano presto l’attività ‘pro’, e a un certo punto si stancano. Noi abbiamo preferito fare le cose con calma, anche perché fisicamente devo crescere ancora. Dopo un anno di esperienze importanti, sono pronto per passare ai tornei Futures con grandi stimoli.
La vostra scelta però ha pagato. Negli Slam juniores hai ottenuto ottimi risultati…
Sì, sono abbastanza soddisfatto di come è andata. Ricordo ancora la prima esperienza, all'Australian Open. Ero talmente emozionato che per i primi quattro game non ho preso il campo, non riuscivo a credere di essere lì. Al di là dei risultati, sono state esperienze magnifiche, e ognuna mi ha permesso a suo modo di crescere sotto qualche aspetto. Mi sono divertito molto, malgrado certe sconfitte brucino ancora. Su tutte quella di Wimbledon, 14-12 al terzo set contro il numero uno del mondo Andrey Rublev.
Quattro tornei del Grande Slam juniores significa quattro settimane a contatto con i più grandi campioni. Che effetto fa dividere lo spogliatoio con Federer e Nadal?
Si respira un’atmosfera unica, difficile da raccontare. Penso che sarei sceso in campo anche se infortunato, proprio per godermi a pieno l’ambiente. La vicinanza con i campioni permette di vedere le varie differenze fra noi e loro, in come preparano gli incontri, quali esercizi fanno, come mangiano. Piccole cose che possono rivelarsi molto significative. L’esperienza mi è servita per rendermi conto di quanta strada ho ancora da fare, ma anche per stimolarmi ad andare avanti per riuscire un giorno a tornarci.
Un episodio particolare che ti è capitato fra Melbourne, Parigi, Londra e New York?
Il più divertente è successo al Roland Garros. Gael Monfils aveva l’armadietto accanto al mio: a pochi minuti dal suo match contro Fognini ha aperto per sbaglio il mio, iniziando a rovistare nella mia roba con una faccia dubbiosa. Io l’ho guardato per fargli capire che aveva sbagliato armadietto, e non appena l’ha capito si è scusato tantissimo. Io non gli detto nulla, è piuttosto grosso (ride, ndr).
Si parla sempre molto delle difficoltà che ogni giocatore si trova di fronte nel passaggio da junior a ‘pro’. Tu lo stai per affrontare, cosa ti aspetti?
Sicuramente a livello Futures e Challenger i giocatori regalano molto meno, mentre fra gli junior a volte capita di vincere pur senza giocare al meglio. La cosa che un po’ mi preoccupa è che dovrò ricominciare a giocare le qualificazioni, a volte anche 3 o 4 turni per torneo. Niente di grave, solo che dal punto di vista fisico faccio abbastanza fatica a recuperare dopo un match, e giocandone così tanti per arrivare nel main draw, c’è il rischio che ci arrivi troppo stanco. Agli Us Open per esempio sono arrivato agli ottavi e non ne avevo più: mi sono reso conto dei miei limiti. L’obiettivo della preparazione è proprio quello di aumentare il rendimento del fisico, in modo da accusare meno certe situazioni. Per il resto si vedrà. Ci sono giovani, ultimi Coric e Zverev, che in un mese hanno cambiato completamente la propria strada, non accorgendosi nemmeno del cambio di categoria. Sarebbe bello fare come loro, ma sono consapevole che il percorso sarà lungo. Per arrivare a quei livelli ci si possono impiegare anche degli anni.
Cosa dobbiamo aspettarci da Matteo Berrettini?
Per il prossimo anno non ci siamo posti un obiettivo di classifica, ma di rendimento. Dovrò salire di livello, punti, vittorie e classifica sono solo una conseguenza. Sin da quando sono piccolo la nostra filosofia si è basata sul lavoro, prima si cerca di crescere, poi si pensa al risultato. In carriera sogno di arrivare fra i primi 100 del mondo. Non sarà facile, ma lo ritengo un obiettivo alla mia portata. Sono contento di potermi permettere di provarci, e se non ce la farò sarò comunque soddisfatto. Avrò sicuramente dato il 100%.
Com’è lavorare in un ambiente come l’Aniene, dove il tennis non è lo sport principale?
Sicuramente non è come sarebbe in un piccolo circolo, in cui si ha sempre l’attenzione addosso, ma trovo ogni giorno tanti stimoli. Capita spesso di sentire del nuotatore che ha stabilito un record, del canoista che si è qualificato per le Olimpiadi, risultati che spronano tutti a continuare a migliorarsi. È un circolo di prestigio all’interno del quale convivono tante realtà, e io sono contento di rappresentare il tennis dell’Aniene in giro per il mondo.
Vincenzo Santopadre, oltre che un ex top 100 e un bravo coach, è un uomo molto apprezzato. Com’è allenarsi con lui?
Vincenzo è una persona molto solare, ti fa divertire sia dentro sia fuori dal campo. Con lui non ho mai avuto discussioni di alcun tipo, ci siamo sempre trovati in armonia su ogni pensiero, io mi fido ciecamente di lui e penso che per lui valga lo stesso. Abbiamo stabilito delle basi per un progetto a lungo termine, e passo dopo passo lo stiamo portando avanti insieme. Non noto alcuna pecca, e non credo sorgeranno. Mi ci trovo benissimo e spero di poter continuare ad allenarmi insieme a lui.
Che rapporti hai con la Federazione Italiana Tennis?
La Fit mi aiuta, ricevo dei contributi e quest’anno ho avuto anche quattro wild card: due nei Futures e due nei Challenger. Sono contento del rapporto con loro, e dal prossimo anno qualche volta andrò anche ad allenarmi per al centro tecnico federale di Tirrenia. Mi permetterà di giocare con gente diversa e seguire i consigli di Eduardo Infantino. È già capitato di allenarmi con lui, mi trovo bene.
La Fit ha inserito nel campionato di Serie A1 le regole sui vivai, e tu sei l’emblema di un progetto ben riuscito. In singolare quest’anno ne hai vinte otto su otto…
Avevo già giocato da titolare anche nel 2012, ma contro gente come Stoppini o Giorgini non potevo fare molto. Quest’anno invece sto vivendo il campionato con un ruolo più da protagonista, e quando scendo in campo so sempre di potermela giocare. Oltre ai singolari, ho vinto anche dei doppi di ottimo livello insieme a Vagnozzi. Giocare a squadre non è facile, ci sono maggiori pressioni, ma allo stesso tempo c’è tanto tifo ed è molto stimolante. Io adoro stare con i ragazzi del team, ho costruito un buon rapporto con tutti, e insieme ci divertiamo molto. Si è formato un bel gruppo, fondamentale per far bene. In più, allenandomi all’Aniene, quando gioco in Serie A1 mi trovo a contatto con le stesse persone con cui vivo ogni giorno, dai soci alla dirigenza, passando per maestri e capitani. Una responsabilità, ma anche un onore.
Hai parlato di doppio. Proprio in coppia con Vagnozzi, nella semifinale di ritorno, hai battuto anche Fabio Fognini. Che esperienza è stata?
Sicuramente una grande emozione e una grande soddisfazione, ma più che per la vittoria nel doppio, la cosa che più mi ha reso felice è stato il passaggio del turno. Un risultato insperato, ma voluto più che mai. La semifinale col Park Genova ci ha regalato due domeniche piene di agonismo ed emozioni. Una di quelle esperienze che porterò con me e userò per crescere.
Due mesi a contatto con giocatori di alto livello. Cosa ti lascerà questa Serie A1?
Nel corso del campionato, così come nei due degli anni precedenti, ho ricevuto tantissimi consigli. I miei compagni cercano sempre di stimolarmi, molto volte mi sono detto “se non ci fosse stato Bolelli o un altro a farmi il tifo, magari quella partita non l’avrei portata a casa”. Con Cipolla ho un ottimo rapporto da tre anni, lui viene spesso ad allenarsi all’Aniene, ma ormai siamo tutti amici. So di avere dei punti di riferimento con cui confidarmi e ai quali chiedere consigli su tutto, vista la loro grandissima esperienza. Una situazione in cui mi trovo alla perfezione.
Cosa ti aspetti dalla finale?
Sono certo che saranno tutti match lottati, su una superficie rapida come il Play-IT non sarà facile rispondere e fare i break. Spero che ci siano belle partite e che il pubblico apprezzi. Difficile dire quale sarà l'ago della bilancia dell'intera sfida, anche perché, eccetto Starace che ha giocato tre anni con noi, non conosco bene i giocatori dell'altra squadra. Quello che posso dire è che siamo tutti carichi e desiderosi di prenderci lo scudetto.
A Genova giocherai per la prima volta in diretta tv. Ti mette un po’ di tensione?
Ci avevo pensato già lo scorso anno, ma poi non ero sceso in campo. Sicuramente c’è un po’ d’ansia, ma è una possibilità importante. Credo sia il sogno di ogni giocatore, che parte dalla scuola tennis e cresce sino al professionismo. Sarà una grande esperienza, e spero di viverla al meglio.
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