“Mi piace vincere in modo pulito, non a tutti i costi. Per me il tennis è come una gara con i go-kart: per battere l'avversario non devi mica buttarlo fuori strada”.
Parola di Stefan Edberg? O magari di Roger Federer? No. Questa frase l'ha pronunciata Mariano Puerta dieci anni fa, dopo aver raggiunto una clamorosa finale al Roland Garros, battuto soltanto da un inarrivabile Rafae Nadal. Cinque anni fa ha annunciato il ritiro, oggi risulta iscritto alla GPTCA come allenatore di fascia “A”, ma non l'abbiamo ma visto in giro per il mondo, salvo un breve periodo nel 2010 al fianco di Brian Dabul. E' l'ennesimo mistero di un giocatore che nessuno ha mai capito a fondo. Forse nemmeno se stesso. Mariano Puerta, figlio di Ruben, è nato a San Francisco. Ma non in California, bensì a qualche chilometro da Cordoba, Argentina. A due anni d'età si è trasferito nel capoluogo, poi subito a Buenos Aires. Mancino e talentuoso, fu forgiato da Guillermo Perez Roldan in uno dei campus che la federtennis argentina organizzava prima della grande crisi di fine millennio. Niente più pallettari, ma picchiatori. Il dritto di Puerta faceva male, soprattutto sulla terra battuta. Giocava bene anche con il rovescio e gridava su ogni palla, come se ogni colpo dovesse essere definitivo. Con queste armi, montate su un fisico tozzo e massiccio, si è portato a ridosso dei top-20. Un paio di titoli ATP, un quarto di finale a Roma e poco altro. La sua ascesa fu interrotta da un delicato intervento al polso, che lo bloccò per qualche mese. Entrò in depressione, anima fragile e tormentata, anche perchè la nipotina di 18 mesi doveva sottoporsi a un intervento al cuore proprio in quel periodo. Col senno di poi, non è difficile associare a quel periodo la caduta in tentazione. “Fu antica miseria o un torto subito / a fare del ragazzo un feroce bandito” cantava Francesco De Gregori. Uscito dal giro dei migliori, costretto a giocare in luoghi sperduti come l'Uzbekistan (“Dove gli hotel erano talmente sporchi che persino l'aria sembrava puzzare. E l'acqua assomigliava a caffè” raccontò qualche anno dopo), scoprì (o gli fecero scoprire) che esistevano scorciatoie. Nel 2003, in piena caccia alle streghe argentine, gli trovarono il clembuterolo a Vina del Mar. Un anno di squalifica, attenuanti varie, riduzione a 9 mesi. Altra depressione, peso che lievitava fino a 94 chili e una carriera quasi buttata a mare.
Sceso ben oltre il numero 400 ATP, mise in piedi un team tutto nuovo. Il coach italoargentino Andres Schneiter, il preparatore atletico Dario Lecman e uno psicologo che ha provato a entrargli nella testa. Esercizi banali, tutto sommato. “Mi faceva visualizzare scene di grande tennis in cui io uscivo vincitore”. E così è iniziata la rinascita. Tempo dopo, neanche troppo, abbiamo scoperto che si trattava di un Grande Inganno. Partito dal basso, si fece notare nei tornei più piccoli, poi nei grandi eventi sul rosso (vinse l'ATP di Casablanca, poi perse un match eterno contro Volandri a Monte Carlo), e infine si presentò al Roland Garros da numero 37 ATP. Vestiva Babolat dalla testa ai piedi e si fece largo a suon di mazzate, soprattutto con il dritto. “A un certo punto mi si è aperto il tabellone” ricordò. Via Ljubicic, poi Vliegen e Wawrinka. Negli ottavi Acasuso, nei quarti Guillermo Canas, in semifinale Nikolay Davydenko al termine di una battaglia furibonda. Tra lui e la gloria immortale, solo un ragazzino di 19 anni. Puerta giocò molto bene quella finale. Vinse il primo set, conquistò i parigini con un paio di volèe in tuffo e mise in atto un bombardamento che solo un Nadal con la freschezza di allora poteva contenere. Si procurò tre setpoint per allungare la finale al quinto. Perse, ma la prese benissimo. Aveva raggiunto l'obiettivo: soldi, gloria e popolarità. Senza contare il matrimonio con la splendida Sol Estevanez, attrice che gli era rimasta vicina durante la prima sospensione. Ma le bugie hanno le gambe corte e gli inganni – prima o poi – vengono alla luce. Ormai stabile top-player (giocò un doppio eccezionale con Nalbandian in Davis in Australia, perdendo appena 3-4 punti al servizio “Mi allenai tre settimane solo per quello”), finì al pubblico ludibrio nell'ottobre di quell'anno. Si trovava a Tokyo quando l'Equipe (che spedì un inviato in Giappone apposta per lui) fece uscire la notizia: era risultato positivo all'antidoping il giorno della finale di Parigi. Etilefrina, Lui si trincerò dietro un silenzio imbarazzato, finì la stagione e giocò addirittura il Masters a Shanghai. C'era un procedimento in corso, reso noto solo qualche settimana dopo. Per una serie di attenuanti non lo squalificarono a vita, ma “solo” per otto anni. Non si diede per vinto, fece ricorso al CAS di Losanna, spese una marea di quattrini e la ebbe vinta. Con una sentenza di 43 pagine, il tribunale accettò la tesi (fantasiosa, a dire il vero) che aveva accidentalmente ingerito la sostanza bevendo un bicchiere d'acqua dove si trovava una medicazione che in quel periodo stava prendendo la moglie. “E il quantitativo di etilefrina trovato nel suo corpo era talmente poco che era impossibile alterare la prestazione sportiva”. E così, mentre il tennis entrava in una nuova fase, lui ripartiva daccapo. Ma fu un fallimento. Si presentò a Sassuolo e nessuno voleva allenarsi con lui. Il povero Federico Luzzi era tra i più arrabbiati per il suo rientro. Il destino volle che si trovassero uno contro l'altro, la settimana dopo a Lugano. Vinse Luzzi, che aveva un gran bisogno di motivazioni per rendere al massimo. La convinzione di trovarsi davanti un impostore lo caricò a molla. Puerta, che non ha mai mostrato rimorsi e/o rimpianti, ha continuato per la sua strada.
QUELLE STRANE ILLAZIONI
Ha vinto un solo torneo (il challenger di Bogotà nel 2008), è risalito al massimo al numero 149 ATP, ma stavolta neanche la benzina extra gli consentì di tornare a fare visita ai più grandi. Nel 2009 capì che non c'era più niente da fare, che anche i primi turni de challenger erano troppo duri. Finì ingloriosamente, senza annunci né proclami. L'anno dopo, visibilmente ingrassato, tentò l'avventura con Dabul, ma finì presto pure quella. Da allora, non ci sono più tracce di lui se non l'umiliante episodio di fine 2009, quando si recò presso un tribunale di Buenos Aires per dichiarare il proprio fallimento. In effetti, dopo la positività del 2005 fu costretto a restituire la bellezza di 887.000 dollari ed anche il ricorso a Losanna fu particolarmente costoso. Il suo rientro gli garantì introiti da impiegato del catasto, insufficienti per evitargli l'umiliazione. Nel frattempo si era separato con la moglie: la seconda squalifica per doping lo fece entrare nell'ennesima depressione e la bella Sol pensò bene di percorrere altre strade. Le ultime tracce di Puerta riguardano alcune esibizioni in Argentina con gli altri esponenti della “Legiòn”, ma il tennis si è rapidamente dimenticato di lui. Puerta è stato un personaggio ai limiti, eppure è riuscito laddove tanti hanno fallito: la gente lo ricorda ancora. Fatte le debite proporzioni, è un po' come Bettino Craxi. Ancora oggi non si sa bene cosa volesse, eppure tutti lo ricordano. Stessa storia per Puerta. E per entrambi si annidano misteri di ogni tipo. Lasciamo agli studiosi della Prima Repubblica quelli sul leader socialista, mentre è vero che su Puerta circolarono voci molto strane ai tempi del secondo doping. Qualcuno giurò che fu pagato profumatamente per prendersi una colpa non sua e coprire qualcun altro. Non sapremo mai se sono fantasie. Forse si, sennò non si sarebbe mai dichiarato fallito. Ma resta sempre quella strana sensazione di qualcosa che non ci è stato detto. Chissà se certi segreti resteranno con lui oppure, un giorno, arriverà una grande rivelazione.