Non tutto però è sempre così roseo, neanche per Sua Fluidità. Spesso, in particolare dopo colpi sublimi come quello di cui sopra, si rilassa, e allora quasi sempre si fa brekkare, stizzito perché i suoi colpi ritornano nel timing più normale. Si spazientisce – lesa maestà! –, forza i movimenti e non trova più il kairós, l’attimo fuggente. È avvenuto ieri nel secondo set, così come era avvenuto, contro lo stesso avversario, il 23 ottobre 2018 a Basilea, torneo sua riserva di caccia. Quella volta c’ero, e ricordo bene: dopo un primo set dominato in 30’ (oggi 20’), il secondo si era aperto sulla stessa falsariga, e in una manciata di minuti Roger si era trovato sul 3-1. “Finirà troppo presto, in meno di un’ora”, mi dicevo. Pensiero stolto, perché nel tennis – come nella vita! – tutto può cambiare in un attimo, anche se quando gioca Roger mi ostino a non considerare questa possibilità. A un punto da un ennesimo break, che lo avrebbe portato sul 4-1, cominciò a distrarsi, rientrò nel tempo, quello pesante, e in un batter d’occhio, perse 6-4.
Poi, sì, vinse a fatica il terzo, ma questa lezione non l’ha mai veramente imparata. Anche perché nessuno di noi la impara mai davvero, come ci insegna ancora Qohelet, con parole indimenticabili, quasi come il tweener di Roger contro Nole agli US Open 2009: “Dio” – lo nominerò poco, ma qui mi sia consentito (chi vuole sostituisca con “vita”) – “ha fatto bella ogni cosa a suo tempo e ha messo nel cuore degli umani il desiderio di comprendere il mistero del tempo, senza però che essi riescano a comprenderlo dall’inizio alla fine” (3,11). Neanche dall’inizio alla fine di un match di tennis, lezione valida per il resto della vita. Anche per Roger, anche per noi.
“Devi cogliere il vento quando gira dalla tua parte”, ha detto nell’intervista di fine partita a Super Mac. Saperlo cogliere, il vento, il soffio… Ah sì, comunque anche Qohelet sarebbe d’accordo: c’è un tempo per giocare e un tempo per ritirarsi!