C'è una data benedetta nella storia del tennis italiano. Il 5 giugno del 2010, Francesca Schiavone vinceva il Roland Garros. Otto anni e due ore dopo, qualche centinaio di metri più in là, Marco Cecchinato ha vissuto una favola che sta ricordando – e non solo perché sono entrambi di Palermo – quella di Totò Schillaci ai Mondiali di Calcio del 1990. Quarant'anni dopo Corrado Barazzutti, l'Italia del tennis al maschile torna in semifinale in uno Slam. Lo fa con un figlio della Sicilia che ha trovato la sua via prima in Alto Adige, poi in Liguria, poi – dopo una gita all'inferno – si è definita nella base di Bologna insieme a Simone Vagnozzi, il coach che gli ha cambiato la vita, non solo quella tennistica. Sul campo Suzanne Lenglen, ha vinto semplicemente perché ha giocato meglio di Novak Djokovic. Un ottimo Djokovic, intorno all'80% del suo potenziale, come aveva detto coach Vajda nei giorni scorsi. Il serbo ci ha provato fino in fondo in una partita in cui si è visto di tutto, chiusa da una risposta vincente di rovescio su un disperato tentativo di serve and volley, nel ventiquattresimo punto del tie-break del quarto set. E allora giù per terra, a piangere di commozione pensando alla lunga strada che lo ha spinto fino a un paradiso che non vivevamo dal 1978, quando forse non ci rendevamo nemmeno conto che era un paradiso. Se mettiamo da parte i successi del tennis femminile, un'intera generazione è cresciuta senza sapere cosa significhi arrivare a certi risultati. Una semifinale Slam è un risultato da brividi, nel tennis-cannibale di oggi. Ci arriviamo col giocatore meno atteso, numero 72 ATP, che ha ha vinto la sua 17esima partita nel circuito maggiore con un perentorio 6-3 7-6 1-6 7-6. Un punteggio che già trasuda personalità, un risultato per il quale si fa fatica a trovare gli aggettivi giusti: incredibile, folle, irrazionale, clamoroso…prendete qualsiasi superlativo a caso e andrà benissimo. La vittoria contro David Goffin portava con sé l'asterisco per le condizioni del belga, mentre oggi Cecchinato ha spazzato via qualsiasi scetticismo. Magia. Magia pura, nelle 3 ore e 26 minuti in cui ha mostrato un bagaglio tecnico di prima qualità (e qui Vagnozzi si è cementato la carriera da coach per almeno altri 20 anni), una condizione atletica perfetta (merito di Umberto Ferrara) ma, soprattutto, una solidità psicologica da primo della classe. Ti trovi nei quarti del Roland Garros, per la prima volta, contro un giocatore che si era già trovato 39 volte (oggi la 40esima) in una situazione simile… è normale farsi prendere da un mix tra tensione ed emozione.
UNA PARTITA PERFETTA
Niente. Cecchinato è stato perfetto, edificando il successo su un tennis semplice ma completo: servizio in kick (molto efficace quello da sinistra) e un dritto pesante che Marco riesce a nascondere fino all'ultimo momento. Non sai mai se lo tirerà incrociato o lungolinea. Nemmeno Djokovic è riuscito a decifrarlo. E poi il rovescio, un capolavoro. Fino a qualche tempo fa, era una banca per gli avversari. Si rifugiavano da quella parte, spingendo duro sulle sue fragilità, sapendo che prima o poi sarebbe successo qualcosa. Adesso, invece, “Ceck” non va più in crisi. Anzi, spinge con il lungolinea quando meno te l'aspetti. Goffin si è visto tagliare le gambe, Djokovic ha tenuto vivo qualche scambio in più, ma è stato destabilizzato decine di volte. Se aggiungiamo una palla corta micidiale, abbiamo il cocktail del perfetto giocatore da terra battuta. Venerdì pomeriggio, Marco si giocherà l'accesso in finale contro Dominic Thiem. Non c'è bisogno di darsi pizzicotti: è la realtà. Sin dall'inizio, Cecchinato ha messo in chiaro le cose: se la sarebbe giocata. Approfittando di qualche dolorino di Djokovic (collo, nulla di condizionante) si è aggiudicato con autorità il primo set grazie a un break al quarto gioco. Nel secondo, saliva 2-0 ma si faceva riacchiappare con un mini-passaggio a vuoto di una decina di punti. Sotto 5-6, faceva il fenomeno nei tre setpoint concessi al serbo: sul primo, si inventava un dritto stretto in direzione anomala dopo uno scambio duro; sul secondo, sparava un servizio vincente a uscire; sul terzo, andava a segno con un dritto vincente. Così, come bere un bicchiere d'acqua. Nel tie-break, Djokovic recuperava da 1-3 a 4-3, metteva sul nastro una smorzata a regalare il 4-4, poi Cecchinato si prendeva il mini-break con un altro gran colpo e teneva con autorità gli ultimi due punti. Due set a zero, miracolo a un passo. Nel terzo, inevitabile, arrivava un calo tecnico e nervoso. Djokovic intascava rapidamente il set e volava 4-1 nel quarto, peraltro con l'inerzia psicologica finalmente a suo favore. Bruciava tre palle del 5-1, commetteva l'errore di non sotterrare le speranze di un Cecchinato boccheggiante e non chiudeva quando è andato a servire sul 5-3, perdendo quattro punti consecutivi dal 30-0. In tutto questo, c'è molto di Cecchinato. La capacità di restare concentrato, di giocare la palla giusta al momento giusto, una lucidità tattica sorprendente.
MIRACOLO INATTESO
Il resto, beh, è poesia tennistica. Il tennis è sport che ben si presta alla sceneggiatura cinematografica. E il tie-break del quarto, francamente, è stato un film trasportato nella realtà. 3-0 Cecchinato, 4-3 Djokovic, 5-5, 6-5 Cecchinato, primo matchpoint annullato con una clamorosa volèe dopo uno scambio altrettanto clamoroso. Djokovic che si procura tre setpoint, annulla altri due matchpoint con coraggio… un mix di emozioni che hanno mandato in visibilio il pubblico del Lenglen (quasi tutto per Djokovic: l'azzurro ha gestito anche le difficoltà ambientali) e scatenato gli spettatori che hanno seguito il match su Eurosport. Quando Nole finiva sull'orlo del precipizio, trovava sempre qualcosa a cui aggrapparsi. Ma Cecchinato era lì, non faceva una piega. Magari si lamentava tra un punto e l'altro, ma riusciva a gettare via ogni scoria per poi giocare il punto successivo con la giusta carica. Dai e dai, uno dei due deve cedere. E alla fine ha ceduto Djokovic, inventandosi uno sciagurato serve and volley sull'ultimo punto. Il resto è delirio puro, emozione unica, da colonna sonora. Spazzate via le deprimenti statistiche degli ultimi 40 anni, gli exploit isolati (appena quattro quarti di finale!) arrivati grazie a tabelloni piuttosto semplici. Cecchinato no, ha vinto una partita più difficile dell'altra, contro campioni veri. Qualcuno ha già paragonato il suo percorso a quello di Gustavo Kuerten nel 1997. Allora il brasiliano era numero 66, ma l'ambiente sapeva che quel ricciolone griffato Diadora – prima o poi – sarebbe arrivato. Anche Marco Cecchinato ha i riccioloni, ma nessuno si aspettava un risultato del genere. Nemmeno lui, che un paio d'anni fa diceva che gli sarebbe piaciuto stazionare il più a lungo possibile tra la 50esima e la 100esima posizione. O che soltanto qualche mese fa, in un'intervista radiofonica, si augurava di chiudere l'anno tra i primi 80. Comunque vada, lunedì prossimo salirà al numero 27 ATP. E comunque vada contro Thiem, questo Roland Garros sarà ricordato in eterno come quello di Marco Cecchinato. Nulla potrà togliergli le emozioni che sta vivendo, e che sta facendo vivere a chi fa il tifo per lui. Guarda caso, è successo tutto il 5 giugno. Si potesse inserire in calendario un Natale del tennis italiano, beh, abbiamo individuato la data.
ROLAND GARROS UOMINI, Quarti di Finale
Marco Cecchinato (ITA) b. Novak Djokovic (SRB) 6-3 7-6 1-6 7-6