
E pensare che fino a qualche anno fa il più forte della Next Gen cilena era Cristian Garin, che nel 2013 vinse il Roland Garros juniores battendo Coric in semifinale e Zverev in finale. Ma poi il 21enne di Santiago si è un po’ smarrito (e ha appena lasciato la Rafa Nadal Academy: si allenerà in Florida), e sono esplose le qualità di Jarry, passato anche da quattro mesi di stop nel 2015 per la rottura dello scafoide della mano destra. Si stava allenando, quando è scivolato e tutto il peso del corpo è finito sul polso, che ha fatto crac. È finito addirittura fuori dai primi 600 del mondo, ma quando il potenziale c’è non bastano gli infortuni a farlo volare via. Così ha iniziato in fretta la risalita e nel 2017 ha polverizzato oltre 200 posizioni, vincendo tre Challenger, raggiungendo due finali e qualificandosi sia a Parigi che Wimbledon. La top-100 era solo questione di tempo. “Si sapeva da tempo – ha detto Nicolas Massu, ex top-10 e oggi capitano di Coppa Davis – che il potenziale era quello giusto. Ho sempre creduto in lui, come continuo a credere in Garin e anche in Gonzalo Lama. Possono stare tutti e tre fra i primi 100 del mondo”. Vero o no, di sicuro non è un caso che ce l’abbia fatta per primo Jarry, il più dotato fisicamente, col suo metro e 98. “La top-100 era il nostro obiettivo per in finale di stagione – ha detto coach Martín Rodríguez – e l’abbiamo raggiunto, quindi il bilancio non può essere che positivo. Anche se più della classifica conta la maturazione. Nicolas è cresciuto tanto, ma non ci accontentiamo. Ha un gran servizio, ma non è ancora un gran servitore. Può diventare più solido, può muoversi meglio”. Tutte cose su cui lavorerà nel corso dell’inverno (ops, estate) con motivazioni doppie, visto che il suo 2018 scatterà coi tornei ATP, in mezzo ai grandi. “Bisogna vedere come si adatterà ai tornei più importanti: invece di giocare contro avversari di classifica inferiore, diventerà quasi sempre lui quello con peggior ranking. Sarà un passaggio molto importante”.

Ufficialmente, nonno Fillol non ha alcun ruolo nella crescita del nipote, se non una presenza costante e tanti consigli. “Me li chiede? Raramente – spiega –, ma glieli do comunque. Gli dico come la penso, poi spetta a lui decidere cosa fare. I suoi progressi si possono vedere a occhio nudo. Ha un tennis più offensivo, ma sbaglia meno, e questo gli ha dato la possibilità di vincere tante partite. Però può ancora migliorare: non è ancora un tennista completo e non sa nemmeno lui quale sia il suo vero potenziale. Appena lo capirà, potrà migliorare ancora”. Se si guarda al periodo storico che sta attraversando il tennis cileno, sembra un miracolo che abbiano ritrovato un top-100 proprio ora. I fasti di Rios prima, e Gonzalez e Massu poi, hanno lasciato ben poco, e leggendo i quotidiani pare che la Federazione sia inesistente (tanto che sembra a rischio il prossimo match di Davis, contro l’Ecuador), mentre i “senatori” si scambiano le colpe tra di loro. “Nello sport – dice ancora nonno Fillol – vige da sempre una teoria: si dice che sviluppando le stelle si sviluppa anche la base. Il Cile è l’esempio di come non sia così. Lo sviluppo di un giocatore è dato dagli sforzi del ragazzo e della sua famiglia, ma per sfruttarlo come traino serve una Federazione che sappia come comportarsi”. In effetti in Cile si erano lasciati sfuggire anche Jarry: gli Stati Uniti (dove è nata la madre) lo corteggiarono e a 16 anni decise di accettare l’offerta per cambiare bandiera. Fortuna che si è messo in mezzo Fernando Gonzalez, suo “mentore” già da anni. “Quando diventerai un campione – gli disse l’ex numero 5 ATP – sarà molto più bello essere beniamino di questa gente piuttosto che degli americani. Vedrai”. Nicolas si è fidato, e ora sa che Gonzalez aveva ragione.
