L'INTERVISTA – Abbiamo incontrato Borna Coric, croato, 18 anni, il più giovane top 100 mondiale: un lottatore estremo dalla forte personalità. “Perché solo chi sa soffrire, poi diventa un campione”.

Per giudicare una giovane promessa del tennis, ci sono due strade: i numeri e le opinioni, soprattutto di chi ci ha giocato contro. Per questo, dopo aver intervistato Borna Coric, classe (fine) 1996, mi sono autoinvitato a cena con Denis Istomin, che era appena stato asfaltato dal giovanotto, al primo turno dell’ATP di Marsiglia. Mentre passeggiavamo sulla corniche, gli ho chiesto cosa ne pensasse di questo 18enne, che qualcuno pronostica sicuro Slammer. La risposta non è stata esattamente quella che ti aspetti da chi ci ha appena perso: “Non mi ha impressionato. Gioca quasi solo di difesa, col diritto non viene avanti nemmeno se colpisce da metà campo, non fa molto male. Ecco, il servizio è un ottimo colpo e di sicuro è mentalmente molto forte, un gran lottatore. Io però preferisco l’altro ragazzino, Zverev, anche se pure lui l’ho visto meno offensivo di qualche mese fa. E nel tennis attuale, se non spingi fai fatica. Forse semplicemente non sono pronti fisicamente”. Dall’altra parte però, ci sono i numeri, che invece stanno lì a dimostrare che Coric è uno dei migliori teen-ager del tour, se non proprio un enfant prodige. Ha battuto Rafa Nadal quando i suoi coetanei potevano giocare ancora i tornei juniores e a 18 anni e 4 mesi è già nella top 80 della classifica mondiale. La sensazione è che mentalmente sia un tipo molto (molto) tosto. Che fisicamente abbia ampi margini di crescita ma la struttura e l’attitudine su cui lavorare sia molto promettente. E che invece il tennis non sia così speciale, almeno per come piace intenderlo a noi: poca fantasia, poco genio, poche volée, poche variazioni, ma una grande solidità e capacità di difesa. Noi lo abbiamo intervistato per conoscere meglio la sua spiccata personalità, quella che gli aveva fatto scegliere come coach Zeljko Krajan, una sorta di sergente Hartman di Full Metal Jacket. Lui che ai coach croati aveva preferito un’accademia nel Middlesex inglese, affascinato dalle generosità di un filantropo del luogo, Clive Sherling, e da una dedizione al lavoro non comune. Ora ha fatto marcia indietro ed è tornato a Zagabria. Per puntare ancora più in alto.

 

Via il sassolino: c’è chi ha scritto che sostanzialmente ti saresti autoproclamato come il nuovo Djokovic. Poi hai rettificato il tiro…
Chiaro che avevano frainteso, non sono così stupido da paragonarmi al n.1 del mondo quando ho appena cominciato la mia carriera. Se però mi chiedono, a livello di stile di gioco, a quale dei fuoriclasse attuali assomiglio di più, credo che Djokovic sia la risposta corretta. Nel senso che anch’io cerco di difendermi al meglio, di spingere col rovescio, di lottare su ogni punto. Ma non ho detto che lo faccio bene come lui, che sono al suo livello. 
 

A che punto credi di essere arrivato nel tuo processo di maturazione?
Sto crescendo giorno dopo giorno, soprattutto grazie alla possibilità di giocare tornei del circuito maggiore. Ti devi abituare ad affrontare costantemente giocatori top 50, top 40, per migliorare il tuo livello e capire a che punto sei arrivato.
 

Lo scrittore Malcom Gladwell ha scritto che per diventare fuoriclasse è necessario che qualcuno ti dia l’opportunità: per te chi è stato?
Mio padre e mia sorella: ho cominciato a giocare da piccolo perché li seguivo sul campo. Il tennis mi è subito piaciuto e a 9-10 anni vincevo già i miei primi tornei. Poi non c’è stata una persona che mi ha spinto particolarmente o che ha insistito nel farmi continuare: visti i buoni risultati, è venuto tutto naturale e crescendo è stato normale prendere questo sport più seriamente. Anche se non ho mai pensato di essere particolarmente dotato: io giocavo tranquillo, poi quando vedi che vinci tanto da under 16 e under 18…
 

La tua famiglia è benestante?
Normale. Mio padre era un avvocato, mia madre lavora in banca. Ho avuto un’infanzia serena: non potevamo permetterci giocattoli costosi, ma ogni tanto si andava fuori a mangiare e mi pagavano tutte le lezioni di tennis. Niente di straordinario, niente di drammatico.
 

Perché i croati, e gli atleti slavi in generale, sono così talentuosi in tutti gli sport?
Basta farsi un giro e vedere dove ci alleniamo. Quando hai tutto facile, ti alleni in strutture meravigliose, con le attenzioni di un intero staff, è più complicato avere la determinazione di noi croati. Non siamo persone speciali, semplicemente lottiamo per noi stessi, per diventare forti. Siamo abituati a soffrire e quindi disposti a fare i sacrifici che servono per emergere, con la convinzione di potercela fare. Le belle strutture e tutto il resto, quelle vengono dopo, quando la carriera è già lanciata.
 

E come erano le strutture dove tu sei cresciuto tennisticamente?
Niente di particolare. Oddio, erano proprio brutte! Ma è giusto così, perché poi quando da ragazzino cominci a vedere i tornei più importanti, cresce la voglia di successo, di arrivare in quel mondo.
 

E la scuola?
Fino alle medie ho frequentato quella pubblica, ora studio in una privata. Sono quattro anni di liceo e cerco di starci dietro, compatibilmente con i miei impegni tennistici. I professori capiscono la mia situazione e io cerco comunque di costruirmi una cultura, magari basica, ma comunque importante. La matematica? Mmh, con quella faccio fatica, meglio storia e lingua croata.
 

A 16 anni ti sei allenato una settimana con Rafael Nadal a Manacor: cosa si impara restando a contatto con uno dei più grandi fighter della storia del tennis?
Tantissimo. Eravamo nella off-season quindi era più rilassato e c’era tempo per parlarsi e, per me, di imparare. Capisci subito la disciplina che serve per arrivare in alto e l’intensità che devi avere, sempre: un’ora di allenamento con Nadal ne valgono tre con chiunque altro!
 

Però non sei stato molto riconoscente nei suoi confronti, visto che l’anno scorso l’hai battuto a Basilea. Che sensazioni si provano la sera dopo una vittoria del genere?
Mah, ti bevi giusto un bicchiere di vino con la tua famiglia per festeggiare. Tra interviste e massaggio per recuperare dalla fatica, non ho avuto molto tempo per pensarci. Giusto una ‘small celebration’ al ristorante e a mezzanotte a letto, perché il giorno dopo c’è quasi sempre un’altra partita da giocare. Non ho dormito granché, ma mi succede spesso quando gioco la sera tardi. Però mi sentivo molto orgoglioso di me stesso: sei mesi prima lo guardavo in tv e mi dicevo che un giorno sarebbe stato bello poterci giocare contro. E quella sera l’ho addirittura battuto.
 

Ma hai avvertito un feeling speciale oppure pensavi che fosse naturale che un giorno succedesse una cosa del genere, perché quello è il livello che ti aspetti di raggiungere?
Battere Nadal a 17 anni è per forza qualcosa di speciale, ma non è un punto di arrivo. Sono passati tre mesi e non mi sveglio la mattina pensando che ho battuto Nadal. La vita continua e devi lavorare duro perché una vittoria del genere possa ripetersi.
 

La tua miglior qualità pare essere la voglia di soffrire in campo, di combattere su ogni singolo punto: ma quanto è difficile mantenere questa attitudine ogni giorno, ogni match, ogni allenamento?
Molto complicato, ma credo sia ciò che fa la differenza tra un buon giocatore e un vero campione. Non vinci gli Slam, non diventi uno dei più forti giocatori del mondo se non dai il 100% in ogni occasione, in ogni singolo allenamento, anche quando non ti senti al top. Io cerco di farlo e poi vediamo dove arriverò.
 

Ma sei così competitivo anche fuori dal campo?
Una volta lo ero di più. Ora vivo già un grande stress quando devo lottare sul campo e fuori mi concedo qualche pausa, un po’ più di relax. Però diciamo che la mentalità è quella, perdere non mi fa impazzire!
 

C’è una nuova generazione di giovani promesse che si sta affacciando nel tour pro: tu, Kyrgios, Kokkinakis, Zverev, Rublev. Chi arriverà per primo nei piani alti del ranking?
Difficile risponderti perché spesso si giudica un giocatore dopo avergli visto giocare un match o un solo torneo. Però magari in quel momento hanno giocato il loro miglior o peggior tennis e quindi il giudizio non è corretto. Prendi Kokkinakis: i risultati dimostrano che già compete alla pari con i top 50-60 del mondo; io l’ho visto bene in Australia ma erano sei mesi che non lo vedevo giocare, quindi diventa difficile capire che percorso stia facendo rispetto agli altri. Credo che tutti quelli che hai citato, e ce ne sono anche altri, abbiano la chance di diventare ottimi giocatori. Chi arriverà prima? Quello che azzeccherà un buon torneo. Spesso sono piccoli dettagli che fanno la differenza.
 

Ma quali sono questi piccoli dettagli?
Ancora non li conosco tutti! Certo, per crescere bisogna sfruttare le occasioni che si presentano, come un buon tabellone, un avversario importante non al meglio della condizione. Certe vittorie danno fiducia e questa aiuta. Poi quando si è arrivati in alto, i piccoli dettagli saranno altri. Se ci arriverò, te li potrò raccontare!

 

Quanto sono importanti i soldi?
I soldi? Li devo lasciare tutti a lui (ride, mentre indica il suo manager, Lawrence Frankopan, che ci ha raggiunti e che scherzando aggiunge: ‘Vero, a lui bastano pochi spiccioli per mangiare’). Il contratto prevede il 95% a lui e il 5% a me, così non mi devo preoccupare di quanto guadagno! Scherzi a parte, i soldi sono importanti perché aiutano a migliorare la qualità della tua vita e delle persone che ti sono vicine, ma non sono lo scopo della mia carriera. So che le due cose vanno di pari passo, ma se dovessi scegliere tra diventare uno dei più forti tennisti della storia o un bonifico da dieci milioni di dollari, sceglierei la prima. Senza dubbi.
 

Coric è un bel tipo, indubbiamente capace di sopportare grandi sacrifici, come accade agli affamati, e indubbiamente convinto di avere grandi qualità nel suo lavoro. Poi servirebbe Cassandra per prevedere dove potrà arrivare. Quando un giovane Pete Sampras passò mezza estate nella villa in Connecticut di Ivan Lendl, chiesero al campione ceco cosa ne pensasse del suo improvvisato sparring: “Posso dirvi che gioca bene, ma non posso sapere se ha dentro ciò che serve per diventare un fuoriclasse”. Sampras ce l’aveva dentro, eccome, ma insieme portava con sé un servizio e un diritto che te li raccomando. Coric potrebbe non essere così (tecnicamente) dotato (quando racimolò un game al Trofeo Bonfiglio contro il nostro Gianluigi Quinzi, qualcuno si mise a ridere pensando a Coric come potenziale top player). Però, a veder giocare da ragazzi un Muster e un Leconte, chi avrebbe scommesso che numero uno al mondo sarebbe diventato quello che sapeva solo correre e arrotare il diritto?


 
(*) Intervista tratta da TENNISBEST Magazine