Darren Cahill è tra i segreti che hanno permesso a Simona Halep di salire al numero 1 WTA: ce l'aveva fatta anche con Hewitt e Agassi. Si erano separati ad aprile, ma la rumena ha capito quanto fosse importante e ha fatto marcia indietro. I dettagli della partnership, il coaching in campo e una sentenza: “Simona è più forte di quanto creda”.

Durante i quarti del Miami Open, una nervosa Simona Halep ha chiamato in campo il suo coach, Darren Cahill. Lui ha provato a incoraggiarla, a darle suggerimenti, infonderle ottimismo. In tutta risposta, ha ricevuto un atteggiamento negativo, supponente. Non lo stava a sentire e per poco non lo ha mandato a quel paese. Dopo si è scusata, ma la partnership è terminata in quel momento. O meglio, sembrava terminata. Un mese dopo hanno ripreso a lavorare insieme: oggi Simona è a Singapore per le WTA Finals, da numero 1 del mondo. Ok, non ha vinto Slam. Ok, oggi il tennis femminile ha meno certezze dei bond argentini. Però ha fatto più punti di tutte ed è tra le favorite a Singapore. Esordirà lunedì, alle 13.30 italiane, nel primo match del Gruppo Rosso. “Sono sorpreso che sia al numero 1 soprattutto dopo il difficile inizio di stagione – ha detto Cahill in una bella intervista con Cristopher Clarey del NY Times – ha avuto una tendinite patellare a dicembre e si è presentata in Australia con il ginocchio in disordine. Sembrava tutto risolto, ma non lo era. La sua stagione è iniziata a Miami: prima del torneo siamo giunti alla conclusione che avrebbe dovuto migliorare come giocatrice e come atleta, senza pensare alla classifica. Poi però c'è stato quel piccolo incidente, che ha causato un altro reset”. Poteva essere un punto di rottura, invece Simona ha avuto l'umiltà di tornare sui suoi passi: ha richiamato Cahill, ha vinto Madrid e sfiorato i successi a Roma e Parigi. La sconfitta al Roland Garros è stata particolarmente dolorosa. “Ha pianto per notti intere, però ha avuto il merito di continuare a fare quello che stava facendo. Significa che ha una grande forza interiore. Simona è molto più forte di quello che pensa”. Con questa convinzione, Cahill approda a un Masters apertissimo, in cui 7 delle 8 partecipanti hanno la possibilità di centrare la leadership WTA. A tempo perso, lavora per ESPN ed è un apprezzato commentatore. Tuttavia, dopo aver chiuso la carriera da giocatore (è stato n.22 ATP e vanta una semifinale allo Us Open), si è dedicato con profitto all'attività di coach. Ha portato al numero 1 tre giocatori: prima della Halep, ce l'aveva fatta con Lleyton Hewitt e Andre Agassi. “Ma non si possono paragonare tra loro: ho preso Lleyton quando aveva 12 anni. Andre era già una leggenda, mentre Simona viene da una cultura molto diversa e deve sopportare una grande pressione. Devo dire che lo fa benissimo”.

LE DIFFICOLTÀ DI UN COACH
E poi c'è l'ovvia differenza tra uomini e donne. Senza entrare in un pernicioso dibattito, peraltro rinfrescato dall'uscita del film “La Battaglia dei Sessi”, Cahill ha individuato le principali differenze. “C'è molta differenza in termini di velocità, forza e potenza. Da qui se ne sviluppano altre. Gli uomini vedono il gioco più in bianco e nero: dai un'informazione e la portano in campo. Con le donne è tutto più a colori, per loro è più complicato, c'è una forte componente emotiva e lo vediamo al momento di chiudere una partita”. Ancora prima che arrivasse Hawk Eye, è stato uno dei primi a utilizzare la videoanalisi. Grazie al padre, allenatore di football australiano, conosce bene la disciplina e ha “rubacchiato” un sistema denominato Sports Code per analizzare i colpi. “Lo uso ancora, anche se è un po' superato. Ma dopo lo Us Open è stato molto utile: analizzando la partita con la Sharapova, ci siamo accorti che Simona tirava sempre la seconda palla sul dritto dell'avversaria. Per questo, ha lavorato per quattro settimane sulla seconda, rendendola più imprevedibile, con più rotazione e più angoli”. Adesso il rapporto va a gonfie vele, tanto che a Singapore hanno girato un video per la WTA, in cui Simona ha provato a imitare uno dei colpi più belli dell'anno, tirato da Daria Kasatkina (un passante dopo una corsa all'indietro, spalle alla rete). La separazione di aprile è stata molto importante. “È stato un passaggio difficile ma necessario – dice Cahill – non le avrei fornito un buon servizio se le avessi dato una pacca sulla spalla, dicendole che la settimana dopo avremmo risolto tutto. Ho preferito fare la cosa giusta per lei, anche se avrebbe potuto costarmi il lavoro. È stata utile per lei, perché ha capito cosa le stava succedendo”. L'episodio ha stimolato Clarey ad affrontare un argomento sempre di moda: spesso i coach sono nelle mani del giocatore e delle sue lune umorali. In effetti, è uno dei lavori meno tutelati. “È difficile, ma se sei onesto devi fare sempre le cose giuste per il giocatore, anche se vanno contro i tuoi interessi. Non importa se perdi il lavoro”.

“DATECI GLI AURICOLARI”
Cahill è sinceramente appassionato di coaching: è convinto che nella carriera di un giocatore ci sia un periodo di 3-4 anni in cui il coach può influire in misura importante. “Puoi dare molto, perché di solito lavori con un solo giocatore per più anni, mentre in uno sport di squadra hai tanti atleti che cambiano spesso. È più complicato dare un'impronta”. A proposito di impronta, il coach di Adelaide è super-favorevole al coaching in campo. Ne parla con entusiasmo travolgente. “È stata la più grande innovazione degli ultimi anni e lo sarà anche tra gli uomini. Potrebbe essere ancora meglio, oggi è troppo restrittivo: parlando solo una volta al set è difficile dare messaggi importanti. Poi capita che ti chiami quando è sotto di un set e la discussione è più emotiva che tecnica”. Con le qualificazioni dello Us Open e le imminenti Next Gen Finals, anche gli uomini si stanno muovendo in questa direzione. “Per me, l'ideale sarebbe la presenza di un auricolare a disposizione di giocatore e coach. Quando il giocatore lo vuole utilizzare, lo fa come se fosse un allenamento. Credo che sarebbe un'innovazione fantastica per rendere il tennis più interessante”. Incalzato da Clarey sul fatto che i coaching WTA siano trasmessi in mondovisione, non si è scomposto. “Non è un problema, dico tutto quello di cui c'è bisogno per vincere la partita. Al massimo bisogna stare un po' più attenti con i termini da usare, ma il contenuto del messaggio non cambia: si dice tutto il necessario”. Mentre Cahill si lancia nell'avventura a Singapore (peraltro lavorerà a fianco di Andrei Pavel, assunto circa un mese fa come vice-coach), i suoi due ex allievi più importanti ne stanno seguendo le orme: Hewitt è il capitano della Davis australiana, mentre Agassi è al fianco di Novak Djokovic. “Sono felice che Andre abbia preso questo impegno, so che apprezza molto Djokovic. È un po' come me e Simona: lavoro con lei perché mi piace molto come persona. Loro si conosciuti al telefono e Andre ha grande rispetto di Nole, sono diventati grandi amici. È l'unica ragione per cui lo fa”. Come a dire che il sacro fuoco dell'insegnamento non scorre esattamente nelle vene di Agassi. Tutto il contrario di Cahill, l'uomo che ti porta al numero 1.