L'impresa contro Jo-Wilfried Tsonga fa emergere la bella storia di Renzo Olivo, che ha lasciato l'Argentina da solo ad appena 12 anni per trasferirsi a Parigi, dove per quattro anni si è allenato da Mouratoglou grazie a una sponsorizzazione. “Mio padre non aveva più soldi: era l’unico modo per continuare a giocare”.“Era l’unico modo per continuare a giocare a tennis”. Renzo Olivo lo dice con la serenità di chi ha in tasca una di quelle vittorie che per molti valgono una carriera, su uno dei quattro campi più importanti del mondo, al suo primo Roland Garros. Il (buon) francese parlato nell’intervista in campo dopo la vittoria-shock contro Jo-Wilfried Tsonga non è passato inosservato, diventando il pretesto per conoscere una storia molto affascinante, in cui proprio la Francia ha avuto un ruolo fondamentale. Già a dodici anni il piccolo Renzo si è trovato di fronte al bivio più importante della sua vita, perché le finanze di papà Antonio, proprietario di un tennis club nella città di Rosario, non erano più sufficienti per permettergli di seguire un percorso in linea con quello utile per diventare un giocatore di tennis. Le strade erano due: o si trasferiva a Parigi, a oltre 11.000 chilometri di distanza, dove grazie a uno sponsor gli si erano aperte le porte della vecchia accademia di Patrick Mouratoglou sulla collina di Thiverval-Grignon, o rinunciava di punto in bianco alle ambizioni costruite fin dai 6 anni. Un’opzione che nella sua mente non è mai esistita, tanto più in quel periodo in cui il suo idolo David Nalbandian aveva appena raggiunto la semifinale al Roland Garros, così ha fatto le valigie ed è partito, da solo. I francesi l’hanno aiutato ad andare avanti in un periodo preziosissimo, dai 12 ai 16 anni, e lui li ha ringraziati sbattendo fuori al primo turno del Roland Garros il loro candidato numero uno per ripetere le gesta di Yannick Noah, ultimo “galletto” a vincere il Roland Garros, nel 1983. “Sono sensazioni forti – ha detto il 25enne numero 91 del mondo, che a livello di main draw arrivava da nove sconfitte di fila – perché un giocatore si impegna una vita per giocare partite così in tornei come questo. Dopo il sorteggio tutti mi hanno detto ‘che sfortuna’, però io ho provato a crederci comunque, e poi adoro giocare sui campi più importanti, quando c’è tantissima gente, mi carica. Sapevo che sarebbe stata dura, lui colpisce molto forte, però sono riuscito a trovare l’equilibrio per essere aggressivo al punto giusto, senza sbagliare troppo”.LE NOTTI INSONNI E LA DEDICA A BELÈN
Il miglior talento della generazione di Olivo era Andrea Collarini, che non ha mai sfondato e questa settimana è impegnato in un torneo Futures a Reggio Emilia, mentre lui sta dimostrando di poter stare fra i primi 100, raggiunti per la prima volta lo scorso ottobre con la vittoria al Challenger di Buenos Aires. Fra i segreti del suo successo c’è il nuovo coach: da un mesetto ha iniziato a lavorare con Javier Nalbandian, fratello di David, e a giudicare dai risultati ha fatto la scelta corretta. Oggi per battere Tsonga gli sono bastati 7 minuti e 30 secondi, perché il grosso l’aveva già fatto la sera prima, vincendo primo e secondo set, lasciandosi sfuggire il terzo al tie-break e volando sul 5-2 nel quarto, prima che un po’ di braccino gli costasse due game di fila fra i ripetuti boati dello Chatrier, e anche la sospensione per oscurità. “Con l’adrenalina del match ancora in corpo ho fatto molta fatica a prendere sonno. È stato difficile, pensavo al primo punto, tutto ciò che volevo era vincere il primo punto. Ci ho pensato tutta la notte”. Deve avergli fatto bene, visto che dopo il primo ha vinto il secondo e poi anche il terzo, obbligando Tsonga a fronteggiare tre match-point. Il francese li ha cancellati e si è preso una palla del 5-5 che poteva far iniziare un nuovo match, ma è stata solo un’illusione: altri tre punti per Olivo e i sogni di gloria del pubblico francese rimandati un’altra volta. Chissà che proprio nel corso dell’ultima notte a Olivo non siano tornate in mente le notti del passato, durante la sua esperienza parigina, quando all’inizio c’erano difficoltà nuove da combattere ogni giorno. “È stato un cambiamento enorme, e i primi sei mesi sono stati terribili. Non sapevo una parola né di inglese né di francese, e a 12 anni stare lontano dalla famiglia è difficilissimo. Dormivo da solo e ogni notte mi sembrava durasse un’eternità. Ma ora posso dire che mi sono servite anche quelle”. Di certo ne hanno forgiato l’umanità, come dimostra la scelta di mandare un abbraccio a distanza a Belèn, una ragazza argentina gravemente malata, sua tifosissima. L’ha scoperto tramite un medico che frequenta il club dei genitori, e non ci ha pensato un secondo: la prossima vittoria sarà per lei. Non poteva sapere che sarebbe stata la più importante della sua carriera.
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