L'INTERVISTA – A 30 anni, dopo una stagione buona a livello di continuità, Simone Bolelli guarda al futuro con determinazione. "D'ora in avanti il fisico sarà la chiave di tutto. Se riuscirò a star bene potrò fare cose mai fatte prima". E su quella previsione di Toni Roche…Se ci fosse una classifica di lucidità nelle interviste, fra i tennisti italiani Simone Bolelli sarebbe il leader indiscusso. Magari non regalerà mai lo strillone, la classica dichiarazione forte da sparare in copertina, perché è piuttosto introverso e molte cose preferisce tenerle per sé. Non a caso, della sua vita privata si sa pochissimo, e i social li usa col contagocce. Ma quello che dice lo dice come si deve, senza troppi giri di parole, con onestà. Senza esaltarsi nelle cose positive e senza nascondersi in quelle meno positive. Il suo 2015 è stato entrambe, dipende da che angolazione lo si osserva. L’inizio prometteva qualcosa in più di una 58esima posizione a fine anno, ma c’è stato anche qualche problema fisico di troppo a condizionarne il cammino. E allora è meglio guardare gli aspetti migliori: dalla vittoria in doppio all’Australian Open ai primi due successi in carriera contro dei top 10, Milos Raonic e Tomas Berdych, più sette quarti di finale nel Tour. Il tutto a 30 anni, dopo un paio di operazioni al polso che gli hanno salvato la carriera. Significa che nel circuito ATP c’è ancora spazio anche per lui. È il primo a saperlo, e si sta attrezzando per farsi trovare pronto. Con delle convinzioni tutte nuove.
Escludendo la vittoria in doppio a Melbourne, qual è il ricordo più bello che ti resta dal 2015?
Ce ne sono tanti. Sicuramente uno è lo spareggio di Coppa Davis in Russia, la vittoria con Fabio nel doppio. Forse però l’emozione più grande, Melbourne a parte, è stata la partecipazione alle ATP Finals. Un’esperienza nuova per entrambi. Inaspettata, ma allo stesso tempo cercata. In singolare, invece, il mio miglior tennis l’ho giocato al Roland Garros. Ho vinto due match in tre set e poi sono andato avanti 2-1 contro Ferrer, giocando un tennis pazzesco.
Dopo l’ottimo inizio, ti aspettavi un anno diverso? Il ranking dice -3 rispetto a fine 2014…
Volevo sicuramente chiudere più in alto in classifica, ma da marzo mi sono portato dietro un po’ di problemi e non sono riuscito a trovare continuità. Ho fatto fatica a star bene dal punto di vista fisico, principalmente per un problema al ginocchio sinistro. Ho una calcificazione al tendine che si collega al quadricipite, e ogni volta che la gamba sta piegata mi fa male, quando carico sento male. Ho fatto delle onde d’urto dopo Wimbledon e altre a ottobre, il processo di guarigione è ancora in atto, ma dovrebbe sistemarsi a breve. Poi dopo la trasferta asiatica non ho giocato indoor a causa della febbre. Ma sono comunque contento del mio anno: sono cresciuto tatticamente e fisicamente, e ho chiuso con una classifica che mi permette di essere sempre in tabellone. Visti i problemi che ho avuto, va bene così.
Quindi la tua assenza alle finali di Serie A1 è dovuta al ginocchio?
No, a un problema alla caviglia. Durante l’ultimo doppio a Londra ho sentito una fitta, ho continuato a giocare e probabilmente ho peggiorato la situazione. Per un paio di giorni ho zoppicato, e ora sono fermo da oltre due settimane. Spero di tornare in campo a metà dicembre.
Nel 2015 hai giocato sette quarti di finale nel circuito, senza mai superarli. Lo vedi come un rimpianto o significa che hai gettato una base di continuità per l’anno prossimo?
In alcuni di questi tornei ho avuto delle chance, come a Sydney contro Troicki o a San Pietroburgo contro Sousa, ma nel complesso lo vedo positivamente. Ho battuto due top ten, cosa che non mi era mai riuscita prima, ho trovato un buon livello medio e sono tornato con continuità nel circuito maggiore, dopo che nel 2014 avevo giocato tanti Challenger.
Il passo in più che ci si aspetta dal 2016 da dove deve partire?
Ho 30 anni, e penso che adesso la chiave di tutto sia star bene fisicamente. Se ci riesco penso di poter esprimere ancora un gran tennis, e magari fare cose che non ho mai fatto prima. Mi sento ancora molto bene in campo, mi piace giocare. Credo di poter dare ancora molto al tennis.
Il cambio di coach è servito a darti le motivazioni che cercavi?
Sì, mi sono trovato bene sia con Galimberti sia con Torresi, da questo punto di vista penso di aver fatto un buon anno. E poi ultimamente ho cambiato anche il preparatore atletico, iniziando a lavorare con Stefano Baraldo. Lo ritengo molto esperto sul lato fisico e atletico, e in più capisce molto anche di campo. E poi è anche fisioterapista, aspetto che secondo me adesso diventa fondamentale. Inizio a sentire vari acciacchi, poter portare con me una persona che si occupa anche di quello è molto positivo.
La situazione a tre coach crea degli svantaggi?
È molto importante essere sulla stessa linea di pensiero. Edoardo (Infantino, ndr) mi sta aiutando ormai da 3-4 anni, e mi ha dato molta fiducia. Io credo molto in lui come allenatore, penso sia uno dei migliori che ci siano nel nostro sport. Galimberti e Torresi stanno cercando di portare avanti il lavoro che da anni abbiamo impostato con Infantino. Ora dobbiamo organizzarci per il 2016, ma la scelta è stata positiva.
Quest’anno hai affrontato Djokovic, Federer e Nadal. Il più impressionante è davvero Novak?
Adesso sì. È riuscito a trovare un equilibrio interno a sé e col suo team che è difficile da rompere. Sta creando anche agli altri giocatori una sorta di pressione psicologica, perché vince sempre lui, e i suoi diretti concorrenti accusano la situazione. Negli ultimi sei mesi dell’anno ha tenuto un rendimento pazzesco. Adesso come adesso fa più paura del miglior Federer, o del grande Nadal sulla terra battuta. Rispetto a tutti gli altri è molto più forte. L’unico che può ancora dagli fastidio è Federer, con i suoi schemi e le sue varianti.
Tra te e Fognini, chi tiene di più al doppio?
Entrambi. Rimaniamo sicuramente giocatori che danno priorità al singolare, ma avendo vinto uno Slam a inizio stagione ci siamo dovuti per forza concentrare anche sul doppio. Giocare ogni settimana singolare e doppio è faticoso, porta via energie, però il doppio aiuta parecchio: riflessi, gioco di volo, servizio, risposta. E anche dal punto di vista della fiducia. Vincere uno Slam non è come vincere un altro torneo, dà grande consapevolezza. Credo che sia a me sia a Fabio sia servito molto per il singolare.
Per il futuro può diventare la tua specialità o non ti vedi ancora nel Tour intorno ai 35 anni?
Se ci penso ora lo vedo lontano, ma non lo escluso. Quando uno smette col singolare bisogna vedere come sta, che obiettivi e che stimoli ha. Sicuramente è una carta da tenere in considerazione.
Com’è stato vedere una finale di Coppa Davis fra Gran Bretagna e Belgio? L’Italia non ha Murray, ma è più forte di entrambe…
Questo ci dà forza, significa che anche noi possiamo puntare ad arrivare in finale. L’anno scorso abbiamo raggiunto la semifinale, mentre quest’anno siamo stati un po’ sfortunati a pescare il Kazakistan in trasferta. In casa, sulla terra, sarebbe cambiato tutto. Comunque l’Italia ha giocatori molto forti in singolare, un buon doppio e soprattutto una squadra di gente che ci tiene. Abbiamo le carte in regola per far bene, già dal 2016. Credo e spero che Federer al primo turno non verrà, e se non venisse nemmeno Wawrinka saremmo più rilassati. Ma già poter giocare in casa è un buon punto di partenza.
Cosa ne pensi di questa nuova veste di Fognini, vicino al matrimonio?
Gli ho chiesto se era sicuro, perché dopo non si può tornare indietro (ride, ndr). A parte gli scherzi, lo vedo molto bene con Flavia. Sono molto affiatati, è una coppia che mi piace, così come ho sempre apprezzato Flavia come ragazza. Se Fabio ha fatto questa scelta vuol dire che se la sente, è sereno.
Come è cambiato il Bolelli persona in tutti questi anni?
La differenza principale è che adesso riesco a capire quali sono le cose che mi fanno bene e quali invece quelle che mi fanno meno bene. Cerco di allenarmi sempre con molta precisione, e toccare gli aspetti che sono importanti nel mio gioco, per come devo e dovrò cercare di esprimerlo. C’è molta più consapevolezza rispetto agli anni passati. Anche più lavoro, più esperienza.
Come sono cambiati i tuoi obiettivi da quando sei entrato la prima volta nei top 100 a oggi?
Gli obiettivi cambiano di anno in anno. Ora punto a crescere molto tatticamente e nel livello di gioco. La chiave è quella: saper esprimere un buon livello di gioco e star bene. Non cerco più di andare in campo per giocare la partita come viene, cerco di proporre un certo tipo di gioco.
Credi ti abbiano tolto di più le due operazioni al polso o la lunga crisi di risultati fra 2009 e 2011?
Un po’ entrambe le cose. Gli anni 2009-2011 hanno rappresentato un brutto periodo, in cui ho raccolto poco e chiuso per due stagioni fuori dai top 100. Non sono riuscito a esprimermi bene, a trovare delle buone condizioni. Gli infortuni invece fanno parte del gioco, purtroppo vanno accettati. Mi dispiace che nel 2013 non abbiamo capito subito quale fosse l’entità del problema, anche se in cuor mio sentivo che era piuttosto grave. Non è facile ripartire ogni volta. Anche se un’operazione è ben fatta, come è capitato a me grazie al dottor Vilarò dell’equipe di Cotorro (il famoso medico delle ginocchia di Nadal, ndr), non sai mai come puoi tornare, se i movimenti saranno uguali a prima. Fortunatamente ora è tutto a posto, Vilarò mi ha salvato la carriera. Non giocare per dieci mesi significa dover ricostruire tutto, ci vuole molto aiuto dall’esterno, specialmente in un caso come il mio. Dopo quel brutto periodo ero finalmente tornato nei primi 100 e mi sono fatto male. Però ho sempre creduto di poter tornare in alto.
Di Simone Bolelli si dice sempre "il bravo ragazzo", "il bravo ragazzo". Non ti ha stancato?
Io cerco sempre di essere me stesso in tutte le situazioni. Sono un giocatore di tennis, mi piace quello che faccio. Cerco di comportarmi maniera naturale, se sono bravo o meno non lo posso dire io. Ma questa veste mi piace.
“Quel ragazzo entrerà nei primi 10”, disse di te Tony Roche. Ci credi ancora?
Forse nel 2016 no, ma credo sicuramente di poter battere il mio best ranking. Quello di chiudere l’anno prossimo intorno alle trentesima posizione della classifica è un obiettivo che mi piace, lo vedo fattibile. Riuscendoci, poi negli anni successivi si potrà puntare a fare ancora meglio.
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