Marco Imarisio - 30 January 2019

DJOKOVIC, IL TERZO INCOMODO IN UNA STORIA D’AMORE INFINITA

Nonostante quindici Slam vinti e l’impresa di essere tornato dopo un brutto periodo, Novak Djokovic non riceve l’affetto degli appassionati come successo con Roger Federer e Rafael Nadal. Più che amato, è sopportato. Perché?

Con Novak Djokovic ci si siede dalla parte del torto, sempre e comunque. Chiamare sottovalutato un campione assoluto, perché di questo si tratta, uno che ha vinto 15 titoli Slam, sarebbe una bestemmia. Infatti.

L’aggettivo giusto è sopportato. Ha solo 31 anni, e ne ha regalati quasi due alla concorrenza, chissà se per crisi personale, fisica, coniugale, o tutte e tre messe insieme. Nel 2018 è stato capace di un recupero impressionante, quando tutti ormai lo davano per perso. Ma i ritorni che contano sono sempre quelli degli altri. Nessuno che riconosca come lo straordinario Federer del 2017 abbia goduto della sua assenza, nessuno che ammetta come gli ultimi due Roland Garros di Nadal siano avvenuti in contumacia-Djokovic, che prima della crisi aveva l’abitudine di prendere a pallate Rafa anche sulla sua amata terra rossa. Eppure, la conversazione sul più grande di sempre, oziosa e fittizia quanto si vuole, non lo vede mai tra i candidati. I numeri non dicono mai tutto, ma qualcuno dovrà pur dargli un’occhiata. I confronti diretti, che nel tennis pesano, eccome, recitano: Djokovic-Federer 25-22, che diventa un più rotondo 20-9 a partire dal 2011, primo vero annus mirabilis del serbo. Djokovic-Nadal: 28-25, dal 2011 in poi 21-9. E chi dei tre ha il miglior record contro i top ten? Djokovic. E il record di vittorie al quinto set? Djokovic, che Vince per distacco.

Davvero, qual è la colpa di Djokovic? Nei match più belli dell’ultimo decennio, in campo c’era sempre lui. Il suo rovescio, la sua risposta, la sua velocità di gambe sono un’opera d’arte, al pari della ferocia e del dritto di Nadal e di Federer tutto. Che nessuno, per cortesia, giustifichi questa costante rimozione con i comportamenti. Non è perfetto, ma chi può dire di esserlo? D’accordo, a inizio carriera faceva spesso la vittima, ma è cresciuto, diventando un vero sportivo, generoso con gli avversari, quando lo battono o quando fanno un bel colpo. «Ma si vede che non è sincero» è la replica che ogni tanto tocca sentire. Allora meglio gli sguardi stizziti e l’aria offesa di Federer quando qualcuno gioca meglio di lui? Suvvia.

La verità è un’altra. Nole è il terzo incomodo in una storia d’amore che si vorrebbe infinita. Nole è quello che rischia di rovinare in tempo reale l’epopea di Federer-Nadal, essendo molto più giovane del primo e molto meno logoro del secondo. Nole dà fastidio perché non era previsto, non rientrava nella narrazione di questa età d’oro del tennis.

È una questione di pura stizza, che nasconde una sensazione incombente da fine del mondo, come se dopo quei due non ci dovesse essere più nulla. Ma è proprio la paura del vuoto il sentimento che dovremmo combattere tutti, perché è in nome del «dopo Roger e Rafa il diluvio» che quei fenomeni di ATP e ITF si apprestano a cambiare le sacre regole del gioco per trasformarlo in una sorta di X-Factor con racchette. Nole dovrebbe essere almeno considerato un antidoto a tutto questo, un monito a futura memoria. Lui è la dimostrazione che tutto cambia sotto i nostri occhi, che la vita continua, anche per noi che abbiamo già nostalgia. Perché il tennis è più grande di Federer e Nadal. E anche di Djokovic, ci mancherebbe altro.

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